Trivelle, il popolo (non) ha parlato Numeri e conseguenze di un flop

Il referendum “sulle trivelle” tenutosi domenica 17 aprile ha regalato il risultato che, tutto sommato, era più atteso: non è stato raggiunto il quorum del 50 percento degli aventi diritto di voto, e dunque niente da fare, come se nulla fosse successo (da un punto di vista legislativo). L'affluenza alle urne è stata, infatti, solo del 32,15 percento, e poco importa quindi che l'85,8 percento dei votanti si sia espresso per il “sì”, ovvero per l'abolizione dell'articolo relativo alle concessioni amministrative per l'estrazione marittima; d'altra parte, era naturale che sarebbero stati i favorevoli a recarsi in massa a votare, molto più che i contrari allo stralcio dell'articolo in questione.
I dati della Bergamasca. La provincia di Bergamo, dal punto di vista dell'affluenza, si è attestata all'incirca nella media nazionale, con il 30,97 percento dei bergamaschi che si è recato alle urne. Bergamo città ha fatto registrare una partecipazione al voto pari al 32,78 percento degli aventi diritto, un dato fra i più alti di tutta quanta la provincia. Sono stati sette, in totale, i comuni che hanno avuto un'affluenza maggiore del 40 percento, fra i quali spicca Cassiglio, che ha sfiorato addirittura il 50 percento (48,91). La Val Brembana, in generale, è stata zona particolarmente ambivalente: perché se molti dei suoi comuni sono stati quelli in cui si è votato di più, dal momento che anche Blello (40,74 percento), Moio de' Calvi (41,24) e Valleve (42,24) si sono attestati ben al di sopra della media nazionale e provinciale, in altri si sono verificati i picchi più bassi, con medie al di sotto del 20 percento. Complessivamente, percentuali elevate anche a Oltressenda Alta (44,36 percento, secondo solo a Cassiglio), e a Levate e Orio al Serio, entrambi di poco sopra al 40 percento. Affondo, infine, sui comuni più popolosi, oltre a Bergamo: Treviglio 32,7 percento, Seriate 35,15 percento, Dalmine 32,71 percento e Caravaggio 30,39 percento.
Dunque, cosa cambierà? Niente, come detto: il testo legislativo regolante le attività estrattive entro le 12 miglia marine dalla costa rimarrà tale e quale a come è ora. Ovvero: le piattaforme attualmente presenti in questa porzione di mare potranno continuare ad estrarre petrolio e gas fino all'esaurimento del giacimento, e non solo fino alla scadenza della concessione amministrativa in essere, obiettivo dei promotori del referendum.
Il significato, invece, politico. Ben più pregnante e ricco è invece il discorso da fare da un punto di vista politico. Il referendum, per stessa ammissione dei suoi promotori, intendeva essere anche un chiaro monito al governo: è ora di investire con molta più convinzione sulle energie rinnovabili. Al di là del fatto che l'Italia è il Paese europeo che negli ultimi 10 anni ha visto incrementare maggiormente la percentuale di soddisfazione del proprio fabbisogno energetico attraverso l'utilizzo delle rinnovabili, per buona tradizione nostrana il tutto si è tramutato in fretta in un referendum su Renzi e sul suo esecutivo. La vittoria del “sì” avrebbe rappresentato un duro colpo per il governo, creatore dell'articolo su cui eravamo chiamati ad esprimerci, quella del “no” un sospiro di sollievo, quella dell'astensionismo una vittoria totale, poiché indice del fatto che ai cittadini di manifestare un eventuale malcontento attraverso una consultazione a scopo politico mascherata da voto sulle trivelle proprio non interessava. E così è effettivamente successo, motivo di giubilo per Renzi e per i suoi. L'aspetto davvero interessante, però, riguarda due punti collaterali: lo stato di salute delle opposizioni e un'ipotetica proiezione sul referendum costituzionale di quest'autunno. Rispetto al primo, dal momento che tutte le forze politiche avverse all'attuale governo (FI, M5S, Lega Nord, sinistra estrema) erano quasi uniformemente schierate per il “sì”, Renzi ha di che esultare, poiché il non raggiungimento del quorum significa che, tutto sommato, gli italiani non sono ancora inclini a sfiduciare l'operato dell'attuale esecutivo. Per quanto riguarda invece il secondo punto, occorre fare attenzione, perché ci sono comunque 13 milioni di cittadini che hanno votato, politicamente parlando, contro il governo e su un tema non particolarmente sentito (a dir poco). Nel momento in cui la posta in gioco sarà ben più elevata (riforma costituzionale da approvare e, stavolta davvero, valutazione sul governo) è probabile se non certo che il quorum sarà raggiunto, e un eventuale sconfitta della maggioranza rappresenterebbe un punto di non ritorno verso un probabile crollo. Esulti sì Renzi, allora, ma con moderazione e soprattutto con un occhio alla consultazione del prossimo autunno.