Giorno due

Reportage dal confine turco-siriano Tra muri e volti di padri e figli

Reportage dal confine turco-siriano Tra muri e volti di padri e figli

Photocredit BergamoPost/Mario Rota.

 

Arrivando a Kilis da Gazientep, l’aeroporto più vicino, a una quarantina di chilometri, si incontra una ricostruzione in miniatura della cittadella di Aleppo, gioiello ora totalmente raso al suolo. Forse perché, proseguendo per quella stessa strada, in meno di un’ora si arriva nella martoriata città siriana.

Oggi la nostra guida ci porta a fare un giro per la città. Dobbiamo essere molto discreti perché la popolazione diffida degli stranieri, la polizia e l’esercito sono costantemente in allerta e da ultimo, ma non ultimo, per il clima antioccidentale e antieuropeo voluto dal governo.

Saliamo su una collina da dove possiamo osservare, nonostante la nebbia, i campi profughi immediatamente a cavallo del confine da una parte e dall’altra. Ovviamente non ci possiamo neppure avvicinare perché non abbiamo i permessi ufficiali. Per lo stesso motivo non possiamo fermarci a fotografare i valichi di frontiera e il muro eretto dai turchi per difendere il confine ora chiuso: potremmo essere presi per agenti che fotografano degli obiettivi militari quindi meglio non rischiare. Giusto la notte del nostro arrivo la polizia ha catturato un appartenente al Daesh.

Il giro continua andando a visitare luoghi in città dove sono caduti i missili Katyusha provocando danni e qualche morto. Uno di questi era atterrato proprio nel piazzale antistante la mensa tenuta da una Ong italiana di cui incontriamo degli operatori. Ci aggreghiamo nel loro giro di consegna dei pacchi alle famiglie seguite dal progetto. Girando per la città impariamo a distinguere dove abitano.

Arriviamo davanti ad un garage chiuso da una tenda. In esso vivono due famiglie parenti, in tutto 6 adulti e 5 bambini. Hanno ricavato degli appartamenti con teli di plastica. La doccia è una canna attaccata al sistema idrico del garage, il bagno, alla turca è ricavato nel sottoscala. Dal soffitto percola acqua sporca che viene dai piani superiori. Per questa situazione pagano l’equivalente di 250 euro mensili. Le famiglie che abitano nei garage sono tante, ne visitiamo diverse. In una il padre sta a casa ad accudire la figlia di due anni con la febbre e un figlio di 10 anni malato mentalmente.

Arriviamo in una piccola baraccopoli fuori città dove molte persone ci accerchiano. Hanno fame, non sono pericolose ma sono molto insistenti. I volontari ci fanno cenno di andare. I luoghi dell’orrore si susseguono. Troviamo persone meravigliose: una nonna che accudisce due bimbi di cui uno gravemente sfigurato da una bomba, due donne con un nugolo di bimbi bellissimi che hanno occupato una casa abbandonata da una famiglia che è fuggita.

 

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E poi arriviamo a casa di Mohamed. Lui lavora quindi può permettersi di pagare l’affitto di un bilocale. Suo figlio, seguito dal programma alimentare, va alla scuola dell’UNICEF. Ci fanno sedere, ci offrono il tè e il caffè siriano appena fatto. Mohamed ad Aleppo aveva un negozio alimentare, oggi fa lavoretti saltuari. Sperimentiamo un’ospitalità, una gentilezza, una cortesia e un calore umano che lascia scioccati. Ce ne andiamo e in dono la moglie ci consegna dei giganteschi mandarini sbucciati.

Raggiungiamo una famiglia che vive sopra una stalla. I bambini giocano a piedi nudi tra gli escrementi degli animali, il padre accudisce le bestie e in cambio viene ricompensato con vitto ed alloggio. La casa ha i vetri rotti e il pavimento in cemento. Gli portiamo dei tappeti per la stanza senza riscaldamento dove vivono e dormono. Domani torneremo con i vetri a riparare le finestre rotte da colpi di fionda.