«Rischio di tornare al No al divorzio» Ddl Pillon, pure Bergamo si mobilita
Anche Bergamo si aggiunge al coro di “no” contro il disegno di legge che porta la firma del senatore bresciano Simone Pillon: il capoluogo orobico ha deciso di unirsi alla grande manifestazione che il 10 novembre collegherà tantissime piazze d’Italia.
Cinque “no”. Sono cinque i “no” al decreto Pillon per cui si scenderà in piazza Matteotti sabato 10 novembre dalle 14 alle 18: no alla mediazione obbligatoria e a pagamento; no all’imposizione di tempi paritari e alla doppia domiciliazione/residenza dei minori; no al mantenimento diretto; no al piano genitoriale e all’introduzione del concetto di alienazione parentale.
Le polemiche. Il mantenimento diretto e proporzionale sarebbe il fulcro della riforma: via l’assegno di mantenimento, rimarrebbe solo quello coniugale. E in caso di separazione con minori entrerebbe in gioco la figura del mediatore familiare per le coppie incapaci di trovare un accordo. Non a caso il lavoro del fondatore del Family day è proprio quello di mediatore familiare, altra ragione, seppure secondaria, che in questi mesi ha fatto infuriare la protesta. Il suo decreto si trova ora in Commissione, ma pare che persino dal suo stesso partito, la Lega, arrivino delle critiche che non sono mancate anche da parte di Mara Carfagna, parlamentare di Forza Italia ed ex ministro per la Pari opportunità.
In campo anche la Cgil. La famiglia non deve essere un campo di battaglia: per questo la Cgil partecipa in tutt’Italia alle iniziative contro il Ddl Pillon, un disegno di legge che di fatto rende impossibile il divorzio a chi è meno ricco perché le separazioni saranno fortemente disincentivate dagli alti costi imposti dalla mediazione obbligatoria a pagamento. I figli e le figlie diventeranno ostaggi di un costante negoziato sotto tutela per far funzionare il mantenimento diretto e le donne, la parte in genere economicamente più debole delle coppie, rischiano di restare stritolate dalle nuove misure.
Petizioni, manifestazioni, adesioni. La mobilitazione coinvolge il movimento delle donne, l’associazionismo democratico, tante realtà della società civile, uomini e donne che da subito si sono espressi contro il disegno di legge su separazione e affido, a livello nazionale con oltre 95mila sottoscrizioni alla petizione che ne chiede il ritiro lanciata su Change.org da D.i.Re, Donne in rete contro la violenza. Insieme alla Cgil, a Bergamo, hanno aderito: Adesso Donne 3.0, AIAF. AIED Bergamo. Aiuto Donna - Uscire dalla Violenza. ALFI- Lesbichexxbergamo, Arci Bergamo, Arcigay Bergamo CIVES, ArciLesbica Libera Bergamo, Associazione culturale Immaginare Orlando, Associazione fiordiloto contro la violenza sulle donne, Associazione Prometeo, Avvocatura per i Diritti LGBTI - Rete Lenford, Barrio Campagnola, BergamoBeneComune, Bergamo Possibile - comitato "Stefano Rodotà", Bergamo Pride, Casa Internazionale delle Donne, Collettivo degli studenti Bergamo - Ferruccio Dell'Orto, Conferenza Donne Pd di Bergamo, Consigliera di parità della provincia di Bergamo Isabel Perletti, c.s.a. Pacì Paciana, Donne in Nero Bergamo, Donne per Bergamo x Bergamo per le Donne, Donne socialiste della provincia di Bergamo, equAnime, Kascina Autogestita Popolare Angelica "Cocca" Casile, Liberi e uguali – Bergamo, Maite - Bergamo Alta Social Club, Non una di meno Bergamo, Politeia, Potere al Popolo – Bergamo, @Rifondazione Comunista Bergamo e provincia, SGB CUB Bergamo, UAAR Bergamo, Udi Velia Sacchi, Unione Inquilini Bergamo, USB Bergamo. Le adesioni rimangono aperte.
Nessuna tutela contro la violenza. Il Ddl Pillon mira a ristabilire il controllo pubblico sui rapporti familiari e nelle relazioni attraverso interventi disciplinari, con una compressione inaccettabile dell’autonomia personale dei singoli. Ecco perché si dirà “no” alla mediazione obbligatoria, perché essa ha come presupposto la scelta volontaria delle parti e relazioni simmetriche non segnate dalla violenza. Nella proposta Pillon, l’obbligo di mediazione viola apertamente il divieto previsto dall’articolo 48 della Convenzione di Istanbul, mette in pericolo le donne che fuggono dal partner violento, oltre a generare uno squilibrio tra chi può permettersi questa spesa e chi non può perché non è previsto il patrocinio per i meno abbienti.
Potestà invece di responabilità. “No” all’imposizione di tempi paritari e alla doppia domiciliazione/residenza dei minori. Queste misure comportano la divisione a metà dei figli considerati alla stregua di beni materiali. Il principio della bigenitorialità, così applicato, lede il diritto dei minori alla stabilità, alla continuità, e all’espressione delle loro esigenze e volontà, riportando la genitorialità al concetto della potestà sui figli anziché a quello della responsabilità, già acquisito in sede europea e italiana come principio del rapporto genitori/figli.
Non c’è parità economica. “No” al mantenimento diretto perché presuppone l’assenza di differenze economiche di genere e di disparità per le donne nell’acceso alle risorse, nella presenza e permanenza sul mercato del lavoro, nei livelli salariali e nello sviluppo della carriera. Cancellare l’assegno di mantenimento a favore dei figli dà per scontato che ciascun genitore sia nella condizione di dare al figlio pari tenore di vita. Ciò nella maggioranza dei casi non è vero, come i dati Istat confermano.
I figli non sono al centro. “No” al piano genitoriale perché incrementa le ragioni di scontro tra i genitori e pretende di fissare norme di vita con conseguenti potenziali complicazioni nella gestione ordinaria della vita dei minori. Non si possono stabilire in via preventiva quali saranno le esigenze dei figli, che devono anche essere differenziate in base alla loro età e crescita. Il minore con il Ddl Pillon diventa oggetto e non soggetto di diritto.
Nessun rifiuto (anche in caso di violenza). “No” all’introduzione del concetto di alienazione parentale proposto dal Ddl che presuppone esservi manipolazione di un genitore in caso di manifesto rifiuto dei figli di vedere l’altro genitore, con la previsione di invertire il domicilio collocando il figlio proprio presso il genitore che rifiuta. E conseguente previsione di sanzioni a carico dell’altro che limitano o sospendono la sua responsabilità genitoriale. Si contrasta così la possibilità per il minore di esprimere il suo rifiuto, avversione o sentimento di disagio verso il genitore che si verifichi essere inadeguato.