Rogo del Jungla a Treviglio, a processo il padre del titolare per incendio doloso
Il pm ritiene volesse intascare i soldi dell’assicurazione, ma la Difesa sostiene un’altra versione
Poco dopo l’accaduto, le autorità avevano capito che alcuni dettagli convincevano poco. La svolta c’era stata a ottobre scorso, quando le indagini del Commissariato di Treviglio e della Squadra Mobile di Bergamo avevano portato alla denuncia di P.C., cinquantenne padre del titolare della pizzeria Jungla, accusato di aver appiccato il rogo nel locale per intascare i soldi dell’assicurazione. Adesso, l’uomo è finito a processo ed il Comune e l’agenzia Unipol Sai si sono costituiti parte civile.
L’incendio ed i sospetti
Come riportato da PrimaTreviglio, tutto aveva avuto inizio la notte tra il 21 ed il 22 dicembre del 2019: intorno alle 2,30, i residenti vicino al parco Baden Powell della cittadina della Bassa avevano visto le alte fiamme sprigionarsi dal chiosco ed avevano chiamato i Vigili del fuoco. Diverse squadre da Treviglio e Dalmine erano quindi intervenute per spegnere l’incendio, ma il Jungla, ormai, era andato distrutto. In seguito, i pompieri avevano però rinvenuto tracce di sostanze infiammabili, per cui si era rafforzata l’ipotesi del dolo. Del resto, non si capiva come fosse potuto partire tutto da un cortocircuito, dato che al titolare avevano staccato la corrente per morosità a maggio 2019.
La corrente staccata ed i debiti
Già, ma allora come aveva fatto il locale a continuare a lavorare per mesi? Un’idea ce l’avrebbe la pm Chiara Monzio Compagnoni, che ha appunto portato in tribunale il sospettato per incendio doloso, truffa all’assicurazione e furto di energia elettrica. Ebbene sì, secondo gli inquirenti il gestore si sarebbe allacciato abusivamente al circuito dell’illuminazione del parco pubblico. Quella che, per il momento, rimane ancora un’ipotesi della Procura sarebbe supportata dagli aumenti nei consumi, avvenuti proprio dopo che avevano staccato la corrente alla pizzeria. Secondo quanto riportato da L’Eco di Bergamo, infatti, da maggio 2018 ad aprile 2019 il consumo medio era di 500 kilowattora. Da maggio 2019 diventa 916 kilowattora, con un picco a giugno di 1900 kilowattora, quando lo stesso mese dell’anno prima era stato di 380 kilowattora.
La Difesa sostiene che il titolare si arrangiasse con un gruppo elettrogeno, che però non è stato ritrovato in mezzo a quanto restava dell’attività. Fatto che, per i legali dell’uomo, rimarrebbe un mistero. Non sarebbero tuttavia nemmeno stati trovati indizi degli allacci ai contatori del parco, dettaglio per cui gli investigatori sospettano che P. C., con l’aiuto di un amico elettricista, avrebbe staccato tutto poco prima di appiccare l’incendio (i due apparecchi, tra l’altro, erano nella medesima colonnina). Secondo i magistrati, l’azione sarebbe stata quindi commessa per intascare i soldi dall’assicurazione, avendo l’imputato un debito con l’Agenzia delle Entrate di 57 mila euro. Dopo l’incidente, vero o presunto, avrebbe intascato dalla società assicurativa in tutto trecentomila euro: 250 mila per il locale, 50 mila per i macchinari e le merci all’interno.
La versione della vendetta e la lettera anonima
Gli avvocati del cinquantenne, invece, per scagionare il proprio assistito hanno spiegato il rogo come una vendetta nei suoi confronti. Hanno quindi raccontato del litigio avvenuto poco tempo prima tra il sospettato e un uomo, marito geloso di una donna con cui aveva una relazione extraconiugale. Hanno anche accennato, alla chat tra la signora in questione ed il fratello, dopo che lui aveva scoperto la relazione. Le avrebbe consigliato di non recarsi al parco, altrimenti sarebbe stato costretto a dare fuoco, sebbene non abbia specificato a cosa e non sia chiaro se stesse esagerando o meno. C’è poi la lettera, scritta col normografo ed inviata ai Vigili del fuoco di Treviglio. Si indicava un uomo corpulento in motorino come il possibile vero colpevole: un trucco per depistare? Al momento, non c’è una risposta.