Lo schiaffo catalano a Madrid L’81% vuole l’indipendenza
È stata una battaglia lunga, concretamente cominciata a settembre e, per ora, conclusasi domenica 9 novembre: oltre 2 milioni di abitanti della Catalogna si sono recati alle urne “incostituzionali” organizzate per la consultazione relativa all’indipendenza della Regione spagnola che rappresenta ben un quinto dell’intera economia iberica, ma che detiene anche uno dei debiti pubblici più alti. Il risultato è stato schiacciante, con l’80.72% dei catalani andati alle urne favorevoli alla Catalogna come Stato indipendente. Un gesto simbolico, visto che Madrid e la Corte Costituzionale hanno più volte sottolineato l’inconsistenza costituzionale e politica del referendum indetto da Artur Mas, indipendentista e presidente della Generalitat de Catalunya.
Artur Mas, presidente della Catalogna, al voto.
Questione d’onore. La vera battaglia per un referendum relativo all’indipendenza della regione spagnola è cominciata a settembre, il giorno dopo il voto in Scozia, quando la popolazione ha potuto votare se diventare una Nazione indipendente da Londra o meno, optando per la seconda ipotesi. Al di là del risultato del voto scozzese, Artur Mas ha preso la situazione per le corna, forte delle sue posizioni: «La Catalogna vale meno della Scozia? La Catalogna è meno unita e meno impegnata della Scozia per decidere sul proprio futuro?». Così, il 19 settembre, è arrivata la risposta del Parlamento della Catalogna sulla questione: 106 voti a favore del referendum, solo 28 quelli contrari. Madrid è andata su tutte le furie: Mariano Rajoy ha attaccato frontalmente l’iniziativa e ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale per bloccare l’iniziativa. E lo stop dalla Corte è arrivato, spiegando che un referendum che non coinvolga l’intera Nazione è incostituzionale. Nonostante tutto questo, Mas ha deciso di continuare e ha organizzato la consultazione per il 9 novembre, consultazione che si è svolta in modo pacifico nonostante le paure delle forze dell’ordine e ha, soprattutto, offerto all’ampia frangia indipendentista una potente arma di pressione su Madrid.
Il voto. Le persone che si sono recate alle urne improvvisate, dovevano rispondere a due quesiti: “Vuoi che la Catalogna sia uno Stato?” e, in caso di risposta affermativa, “Vuoi che sia uno Stato indipendente?”. Su circa 4,5 milioni di aventi diritti al voto (tutti i catalani over-16 anni), oltre 2 milioni hanno espresso la loro opinione: l’80.72% ha risposto affermativamente a entrambi i quesiti, solo il 4.5% negativamente e circa il 10% ha risposto “sì” al primo e “no” a secondo. Un risultato schiacciante, che si spiega con il fatto che, non essendo stato un referendum riconosciuto, gli unionisti catalani hanno preferito restarsene a casa. I votanti sono stati, infatti, circa un terzo degli aventi diritto e i recenti sondaggi del Centro di Studi di Opinione della Generalitat danno indipendentisti e lealisti sul filo del rasoio, intorno al 50% ciascuno. In occasione del voto non sono comunque mancate le manifestazioni dei gruppi in difesa dell’unità spagnola, a cui si è unito, nei giorni scorsi, anche il noto scrittore Mario Vargas Llosa che, al New York Times, ha definito «una minaccia alla democrazia spagnola» il voto del 9 novembre. Proprio per paura di tensioni, che fortunatamente non sono avvenute, sono stati circa 7 mila i poliziotti impiegati, di cui 450 in assetto antisommossa. Ben 40 mila sono stati invece i volontari che hanno seguito lo svolgimento della consultazione in assenza di arbitri ufficiali, neutri e imparziali. Un “esercito” reclutato da Carme Forcadell, la pasionaria presidente dell’Assemblea Nazionale Catalana.
Le reazioni al voto. Rajoy, per il momento, non si è espresso sul voto. La reazione ufficiale di Madrid è stata invece affidata al ministro della Giustizia, Rafael Català, il quale ha sminuito i risultati definendo la questione come un mero atto di propaganda politica, «senza alcun valore democratico». Entusiasta, com’era prevedibile, Artur Mas, il quale si è assunto la responsabilità legale della consultazione indetta nonostante la sospensione dettata dalla Corte Costituzionale e che ha detto che ora, la Catalogna, s’è guadagnata sul campo il diritto a un vero referendum. Di certo, come detto in precedenza, questo voto non rappresenta il complessivo parere della Catalogna, dato il forte astensionismo degli unionisti, ma ha permesso di quantificare concretamente l’ampiezza del fronte indipendentista. Fronte assai largo e forte. I risultati, infatti, non fanno altro che dare ulteriore potere nelle mani di Mas, già pronto a incontrare il premier spagnolo lunedì 10 novembre. Del resto, se circa il 50% dei catalani chiede un nuovo progetto per la propria regione è anche perché Rajoy non è stato in grado, in questi mesi, di affrontare i tanti problemi economici di un'area tra le più importanti della Spagna, ma che si trova ad affrontare difficoltà di non poco conto, come sottolineato da Bloomberg e Jp Morgan, che hanno avvertito dei rischi di investire in Catalogna. Con un Paese sempre sull’orlo del baratro, nonostante la debole ripresa economica, scosso da scandali politici, dalla corruzione diffusa e segnato dall’irresistibile ascesa del partito degli indignati di Podemos, Madrid non può permettersi, al momento, una crisi politica e la perdita della Catalogna.