E gli Usa si scoprirono pallonari

E intanto negli Usa... Mentre noi stavamo qui a chiederci come fare per dare una rispolverata al nostro bel calcio, in America è successo davvero: hanno inventato il calcio. Nel 2014 la media di spettatori a partita ha superato le 44mila unità, gli stadi sono pieni, belli; i giocatori non sono più soltanto ex, ci sono nuovi talenti e nuove promesse. La Mls è un campionato vero, ora hanno anche i derby, gli sfottò, gli striscioni e i fumogeni. Adesso giocano con 20 squadre professionistiche, due nuovi ingressi sono previsti nel 2017, ma l’obiettivo dichiarato è raggiungere i 24 club entro il 2020, e così diventerà anche la lega di prima divisione più numerosa in Fifa. A oggi, il giro d’affari prodotto raggiunge i 495 miliardi di dollari. Uno sproposito, considerato che il calcio non è ancora al primo posto nel cuore degli americani. Va bene, questo lo sapevate. Ma scusate, voi a che punto eravate rimasti?
Gli anni Settanta e i Cosmos. Molto prima dell’arrivo di Pirlo e Giovinco, e anche prima del Mondiale ’94, la Mls non era niente. Negli anni Settanta Steve Ross, un tycoon pieno di grana, aveva fondato i New York Cosmos. Gli aveva dato quel nome lì perché c’erano già i Mets, i Metropolinans, la squadra di baseball più inn della Grande Mela, e siccome la gloria era già metropolitana, beh, cosmopolita sarebbe stato meglio. In quegli anni si ricordano campioni come Pelé, Chinaglia, Beckenbauer, Crujiff, Best, e viene la pelle d’oca pensare che fu solo un grande ospizio per vecchie glorie. Niente bastò a rendere così popolare il soccer, fallì nel 1984, e dopo servirono molti anni. No, sbagliato: le cose non cambiarono nemmeno con Usa ’94, il Mondiale in cui l’Italia arrivò seconda perdendo ai rigori con il Brasile. Ma certo quello fu il principio della Mls. Gli imprenditori che misero su quel campionato del mondo pretesero che dopo l’evento il gioco si sviluppasse in giro per l’America. Era il 1996 quando si giocò la prima partita di campionato. All’inizio doveva essere di 12 squadre, ma si arrivò a malapena a dieci quando Philip Anschutz, il 31esimo uomo più ricco d’America, disse di starci a una sola condizione: «Voglio lui nella mia squadra, quello della rovesciata». Indicò Marcelo Balboa, che aveva fatto un gran gol al Mondiale. Portarlo via dal Messico non fu semplice, e non lo fu nemmeno con altri campioni: Valderrama, Donadoni, Jorse Campos e molti altri.
O vinci o ti annoi. Bastò? Macché. Chi controllava la Mls aveva paura degli 0-0, perché negli Usa o vinci o ti annoi. E così vennero inseriti gli shootout, una specie di duello calciatore-portiere (dai noi li chiamarono per un po’ «rigori all’americana»), un uno contro uno da percorrere in 32 metri e concludere in 5 secondi. L’ex numero uno degli Usa, Brad Friedel, su Sports Illustrated ricorda una volta. Era andato negli spogliatoi dopo uno 0-0, si era tolto la maglia e il team manager lo aveva raggiunto. «Cosa fai? Ci sono gli shootout». Friedel si era dimenticato. Il cronometro girava al contrario, 90 minuti contro il tempo, e al gong la partita finiva lì. Maglie colorate, hot dog sugli spalti, ma nemmeno questo bastò. Nel 1999 venne ingaggiato l’attore Andrew Shue di Merlose Place, il famoso telefilm. Mandò ai Galaxy il fax col contratto firmato sul retro di una pagina del copione del telefilm. Ma almeno, piano piano, le trovate dei primi anni finirono nel dimenticatoio e si iniziò a giocare a calcio sul serio.
https://youtu.be/tP3R-8hD4YA
Qualcosa è cambiato. Cosa è cambiato nella testa degli americani? Perché oggi la Mls è un campionato vero? L'ex juventino Sebastian Giovinco ha scelto di andare a giocare a Toronto a 28 anni, diventando un caso mediatico. Prende quasi 8 milioni di dollari d’ingaggio, e come lui ha scelto Kakà (7.167.500 dollari all'anno con Orlando), Steven Gerrard (Los Angeles Galaxy, 6,4 milioni), David Villa (5,6 con NY), Frank Lampard (6 milioni). Ma bastano i soldi per giustificare tutto questo interesse verso il calcio a stelle e strisce? Dan Courtemanche, vicepresidente esecutivo della Mls, dà un’idea: «Sono stati diversi fattori a contribuire allo sviluppo: sicuramente l’immigrazione, ma anche la crescita complessiva della lega in questi 19 anni, la costruzione di stadi specifici per il calcio, l’esposizione televisiva e la disponibilità 24 ore su 24 di notizie calcistiche su internet e sui social media». Ah già, la solita questione degli stadi: nel giro di dieci anni sono passati da un solo stadio per il calcio a quindici squadre con impianti di proprietà. «Il nostro obiettivo è diventare uno dei migliori campionati al mondo entro il 2022, e lo misureremo dal livello del gioco, dalla passione dei tifosi, dall’importanza delle nostre squadre e dal valore della lega».
https://youtu.be/LngrhG6nMWg
Attenti pure al calcio femminile. Phil Rawlins, presidente degli Orlando City di Kakà, ha rilevato il club nel 2010 dalla Usl Pro Division, il terzo campionato più importante d'America, con la promessa di portarlo in Mls. Promessa mantenuta nel 2015. Adesso la squadra gioca al Citrus Bowl, uno stadio costruito per il football americano, ma punta a una casa tutta sua. Hanno stimato a 1,2 miliardi di dollari il possibile impatto sull'area della costruzione dell'impianto, con 390 posti di lavoro creati, guadagni per 565 milioni e un ritorno in termini fiscali di 9,1 milioni. E poi i diritti tv. Fino a un anno fa Espn e Fox Sports versavano 18 milioni di dollari all'anno per trasmettere. Il rinnovo per otto anni a lievitato a 90 milioni a stagione. Arrivano sponsor, investimenti, nuove possibilità. L’America è stata la prima a dare un’importanza al calcio femminile. Gli spettatori, secondo le stime, l’anno scorso hanno raggiunto i 6,5 milioni. Mica male.