Bergamo avrà la sua moschea
La sentenza 254/2019 della Corte costituzionale, depositata il 5 dicembre scorso, rappresenta un punto legislativo storico, che sancisce la superiorità del diritto di culto (e della libertà di culto) rispetto a un presunto «interesse di buon governo del territorio». In concreto, la sentenza della Consulta ha annullato, perché ritenuta incostituzionale, la cosiddetta “legge anti moschee” promulgata nel 2015 da Regione Lombardia. Si trattava di due disposizioni introdotte nella disciplina urbanistica lombarda (legge del 2005) e che ponevano dei forti limiti in materia di localizzazione dei luoghi di culto. In altre parole, rendevano quasi impossibile la realizzazione di nuovi luoghi di culto (ma anche di ampliamenti di quelli già esistenti) sul territorio lombardo.
A sollevare la questione di costituzionalità è stato il Tar della Lombardia e le motivazioni della sentenza sono particolarmente dettagliate, anche perché la relatrice Daria de Petris è un’esperta di diritto amministrativo e dunque particolarmente “ferrata” sul tema. Al di là del riflesso mediatico che ha avuto questa decisione, figlio anche del fatto che il centrodestra lombardo ha sempre cavalcato con convinzione la questione, interessante è ora capire le conseguenze della sentenza. A Bergamo, ad esempio, il tema della costruzione di una moschea era stato a lungo dibattuto nei primi mesi del primo mandato di Giorgio Gori a Palazzo Frizzoni. La volontà della Giunta, però, fu stoppata dalla promulgazione della legge regionale in questione. A distanza di quasi cinque anni e a fronte di questa decisione, abbiamo chiesto all’assessore Giacomo Angeloni, che ha anche la delega ai rapporti con le comunità religiose della città, cosa sia cambiato in tal senso.
Assessore, quanto pesa questa sentenza?
«Pesa molto, senza dubbio. Anche perché, ci tengo a sottolinearlo, non era una legge anti moschee, ma anti culto, visto che andava a colpire tutte le religioni e non soltanto l’Islam».
Cosa prevedeva, nello specifico, quella legge?
«Due cose: innanzitutto, poneva come condizione per l’apertura di qualsiasi nuovo luogo di culto l’esistenza del Piano per le attrezzature religiose (il Par), mentre in precedenza bastava realizzare una variante urbanistica e sottoscrivere una convenzione con la comunità religiosa in questione per la gestione dello spazio. In più, prevedeva anche che il Par venisse adottato solo unitamente al Piano di governo del territorio (il Pgt)».
Quindi, in realtà, non è vero che fosse impossibile costruire nuovi luoghi di culto...
«Be’, diciamo che lo rendeva quasi impossibile. In primis perché il Par prevede una serie di requisiti minimi per la realizzazione di nuovi luoghi di culto: un determinato numero di parcheggi, elevatissimo; l’installazione di telecamere; il rispetto armonioso del profilo architettonico lombardo. Per intenderci: è come se, per poter permettere l’esistenza della chiesa di Sant’Alessandra in Colonna, si chieda la presenza di un parcheggio interrato di nove piani».
Capiamo la difficoltà. Ma se lo si fa per i centri commerciali, teoricamente lo si potrebbe fare anche per i luoghi di culto.
«Vero. Ma c’è un dettaglio in più: il Par, come detto, secondo la legge doveva essere adottato unitamente al Pgt. Per poterlo redigere, dunque, si sarebbe dovuto attendere l’aggiornamento del Pgt. E quindi un Comune non poteva dare una...