Siamo arrivati anni fa sulla Luna Ora la sfida è viverci davvero

[Tutte le foto dell'articolo si riferiscono al progetto di dimora lunare ideato da Foster + Partners]
Sappiamo che possiamo arrivarci. Il passo successivo: vivere lì. E dopo? L'equivalente cosmico del campo base dell'Everest. Come abbiamo intenzione di colonizzare la Luna: ce lo spiega Luc Rinaldi, giornalista del magazine canadese Mclean’s. Qui l’articolo originale.
Quando l’Apollo 17, l’ultima missione con equipaggio andata sulla luna, ha lasciato la superficie lunare nel dicembre 1972, le persone sulla terra hanno spuntato il fatto dalla lista delle cose-da-fare. Siamo stati là, missione compiuta. Il globo grigio era asciutto e letale, tanto che di notte la temperatura scendeva a -270 gradi e di giorno raggiungeva la temperatura bollisangue di 100 gradi. Marte, nel frattempo, ci chiamava. Le ambizioni interplanetarie del genere umano si rivolsero altrove.
Più avanti, nel 2009, gli scienziati hanno confermato l’esistenza di acqua, e ne hanno trovato pure delle tracce nel polo sud lunare. «Trovarla è stato un grosso colpo», dice Paul Spudis, uno scienziato lunare con base a Houston che ha lavorato alla NASA e alla Casa Bianca. «Ci ha permesso di capire che la residenza permanente sulla luna è possibile».
Improvvisamente, la luna è tornata ad essere la destinazione di punta del sistema solare – e, questa volta, il piano sarebbe quello di rimanerci. Stephen Hawking, Buzz Aldrin e il direttore dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) Johann-Dietrich Wörner hanno dato il loro supporto all’idea di colonizzare la luna. Il Giappone e la Russia hanno annunciato i loro piani di costruire colonie lunari entro il 2030. E, verso la fine dell’anno scorso, l’astronauta canadese Chris Hadfield ha detto che una base sulla luna, non Marte, dovrebbe essere il prossimo grande passo per l’umanità. «C’è molto appetito pubblico attorno all’idea di andare su Marte adesso e in fretta», ha detto, «ma non c’è tecnologia sufficiente per rendere il viaggio abbastanza sicuro e abbordabile».
A distanza di soli tre giorni, la luna sarebbe il posto perfetto per imparare a vivere nello spazio. Sappiamo già che possiamo arrivarci. La prossima domanda è: ci possiamo rimanere?
Gli esseri umani hanno sognato di farlo da quando si sono resi conto che quella scintillante luce nel cielo, passando da nastro a cerchio, era in realtà una roccia che galleggia nello spazio. Prima che la scienza ci portasse là, ci aveva portato la fantascienza. Luciano, autore del secondo secolo di La Storia Vera, primo brano di narrativa conosciuto per rappresentare il viaggio spaziale, scriveva di un viaggio in cui una nave di marinai, passando per un vortice nell’Oceano, arrivava sulla luna. Più di recente, i Big Three della fantascienza – Isaac Asimov, Arthur C. Clarke and Robert A. Heinlein –, così come H.G. Wells, Jules Verne e anche l’autore di Game of Thrones George R.R. Martin, si sono immaginati una vita a lungo termine sulla luna.
Nel XX secolo, questi racconti di fantascienza hanno cominciato a sovrapporsi con reali ambizioni. Nel 1961, l’esercito americano aveva immaginato due basi lunari separate: Horizon, uno stabilimento con 12 soldati la cui apertura era prevista per il 1966; e Lunex, una colonia sottoterra di 21 persone, con apertura prevista per il 1968. Nessuna delle due, ovviamente, venne costruita. Al tempo, noi terrestri non sapevamo ancora quello che sappiamo oggi.
La scoperta dell’acqua sulla luna è significativa perché conferma l’esistenza di una risorsa necessaria per il sostegno della vita – una risorsa che costa una fortuna quando la si deve spedire alla Stazione Spaziale Internazionale. Che poi sia per coincidenza, fato o divina provvidenza, quell’acqua è a situata ai poli lunari. A differenza delle altre regioni della luna, a turno calde e fredde, i poli ricevono costantemente la luce solare, un aspetto che permetterebbe di costruire centrali d’energia funzionanti tramite pannelli solari, che al contrario non funzionerebbero in ambienti letali. «Rimangono ad una gradevole, tostata temperatura di -50 gradi», spiega Spudis, «Una temperatura che nello spazio si può tranquillamente affrontare». Di conseguenza, Shackleton Crater, un cratere di 21 km di ampiezza situato al polo sud della luna e così nominato in onore dell’esploratore dell’Antartica, è diventato di fatto il polo favorito per l’immobiliare lunare.
Ma se l’acqua è tutto ciò che troviamo lassù, perché esattamente dovremmo andarci? «Potrei darvi un migliaio di ragioni scientifiche per cui voglio andare a studiare la luna: è interessante, possiamo fare grande scienza lassù, possiamo costruire un telescopio», dice Spudis, «Risolveremmo il principale ostacolo nell’ottenere massa ed energia significativa in luoghi diversi nello spazio». La colonia sarebbe l’equivalente cosmico del campo base dell’Everest, ha aggiunto, con una principale differenza: «L’obiettivo non è alcuna destinazione particolare; sono tutte le destinazioni».
In primo luogo, costruire un campo spaziale cosmico sarebbe una sfida. Semplicemente mandare i materiali necessari fuori dall’orbita della Terra costerebbe centinaia di miliardi di dollari. Questa è la ragione per cui Foster + Partners, una firma d’architettura internazionale con sede a Londra che ha lavorato con l’ESA per progettare strutture spaziali, ha deciso che non avrebbe troppo senso mandare i materiali; userebbero piuttosto ciò che già esiste sulla luna: il regolite, polvere lunare che potrebbe essere usata a buon mercato per assicurare la protezione che non è mai servita alle missioni Apollo. «La più lunga missione Apollo è stata tre giorni» ha detto Xavier De Kestelier, il partner a capo del progetto. «È stato un viaggio a mo’ di campeggiatura – una campeggiatura parecchio costosa».
Con il regolite come mattone, il team di De Kestelier ha pensato ad un piano: primo, mandare un lander – contenente un modulo cilindrico, una cupola gonfiabile e due robot – sulla superficie lunare. All’atterraggio, gonfiare la cupola su un’estremità del cilindro orizzontale e inviare i robot. Quindi utilizzare i robot, dotati di testine di stampa 3D, per raccogliere regolite e stampare uno strato – vuoto e a forma di alveolo, come l’osso di un uccello – da mettere sulla parte superiore della cupola gonfiata, in un processo della durata di circa tre mesi. Il risultato finale sarebbe una dimora a due piani che ospita quattro persone e usa il suo cilindro originale, che conterrebbe i sistemi di supporto vitale, come una camera di compensazione. Sarebbe abbastanza forte per proteggere da temperature estreme, meteoriti e radiazioni solari e gamma – minacce costanti provocate dalla mancanza di atmosfera della luna. «Abbiamo voluto dare una visione globale di ciò che [un’abitazione lunare] potrebbe essere, non solo l'impressione di un artista, ma qualcosa di veramente incastonato all'interno della scienza», spiega De Kestelier. «Abbiamo fatto uno sforzo per essere più precisi possibile, ma ogni aspetto di una missione del genere avrebbe ancora bisogno di tanta ricerca».
L’effetto della bassa gravità sul corpo umano non fa eccezione. Esperienze sulla Stazione Spaziale Internazionale indicano che le ripercussioni della gravità zero sul corpo umano – circolazione povera, diminuzione della densità ossea, muscoli indeboliti – possono essere gestite, ma le conseguenze a lungo termine sono ancora largamente sconosciute.
Un’altra grande incognita: il costo. Un rapporto revisionato dalla NASA, uscito a fine luglio, suggerisce ottimisticamente che si potrebbe colonizzare la luna a partire da un minimo di 10 miliardi di dollari, a condizione che nel progetto si diventi partner di ESA, della SpaceX di Elon Musk e di e altri. Quando Spudis è stato arruolato come ingegnere della NASA per aiutare a calcolare i costi del piano, il suo conto è arrivato a 88 miliardi di dollari in un potenziale arco di tempo di 16 o più anni. L’autore e redattore del The Atlantic Gregg Easterbrook, un aperto critico della colonizzazione dello spazio, calcola che la cifra è probabilmente molto più alta. Con la tecnologia attuale, dice, potrebbe costare centinaia di miliardi di dollari, forse un trilione, per stabilire una colonia di 100 persone. «Stiamo parlando di tutto il bilancio federale degli Stati Uniti», dice. «A questo punto, non rimane che prenderla sul ridere. Semplicemente non ha alcun senso».
Alcune delle motivazioni più citate per costruire una base lunare non convincono Easterbrook. Per la scienza, dice, mandate i robot; per le risorse, bisogna andare in Antartica o esplorare i fondali marini, prima; per un Piano B, nel caso in cui ci troviamo costretti ad abbandonare il pianeta, vediamo di «investire i capitali dello spazio per ridurre l’inquinamento piuttosto che per costruire lattine che galleggiano nello spazio». «Spero che l’umanità esisterà abbastanza a lungo per iniziare la colonizzazione di altri pianeti», continua lui, «ma non è una questione di alcuna rilevanza per la tua e la mia vita».
Anche Spudis pensa che il grosso della colonizzazione della luna sia di competenza delle generazioni future. «Ho 62 anni, e sono vicino alla fine della mia carriera», dice. «Ho avuto modo di lasciare qualcosa». Lavorare a questo progetto può essere duro quando la comunità spaziale è una «sorta di plotone d’esecuzione circolare», in competizione per il finanziamento e l’attenzione. «Ad un certo punto – e devo crederci, o vorrei smettere domani – la logica prevarrà», aggiunge. «Le persone saranno in grado di vedere che cosa ci sta bloccando dal lanciare il tutto dai più bassi fondali della gravità nel sistema solare. Per rompere questa tirannia, questo inceppamento nel registro, dobbiamo pensare in modo differente».