Dagli anni Settanta ad oggi

Sono cambiate ancora le pensioni Tutta la loro (travagliata) storia

Sono cambiate ancora le pensioni Tutta la loro (travagliata) storia
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primavera

 

Venerdì 20 marzo l’Inps (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale) ha aggiornato i requisiti per andare in pensione nel triennio 2016-2018. Da gennaio 2016, data in cui il provvedimento entrerà in vigore, gli uomini potranno andare in pensione a 66 anni e sette mesi, le donne a 65 anni e sette mesi se dipendenti del settore privato e a 66 anni e un mese se lavoratrici autonome. L’aumento di quattro mesi dell’età pensionabile deriva da un provvedimento legislativo del 2010, adottato dall’allora governo Berlusconi, che ha reso obbligatorio revisionare ogni tre anni l’età della pensione tenendo conto dell’aumentare delle aspettative di vita. Ma come è cambiata nel tempo l’età pensionabile e quali sono le prospettive per il futuro?

Pensioni da favola. C’era una volta un’Italia in cui le signore Ermanna Cossio e Francesca Zarcone andavano in pensione, rispettivamente, a 29 e a 32 anni, dopo aver lavorato come bidelle e con assegni quasi pari alla retribuzione. C’era una volta si, perché a raccontarlo oggi sembra quasi una favola. Eppure è andata davvero così e per esserne certi basta rispolverare i vecchi articoli pubblicati sul Corriere della Sera da Elisabetta Rosaspina e Gian Antonio Stella.

 

 

Erano gli anni delle pensioni baby, introdotte nel 1973, gli anni prima della crisi petrolifera, in cui il governo era arrivato a concedere alle impiegate pubbliche con figli di andare in pensione dopo 14 anni, sei mesi ed un giorno, mentre era già possibile per gli statali lasciare il servizio dopo 19 anni e mezzo e per i lavoratori degli enti locali dopo 25 anni. Si è trattato di una parentesi nella storia previdenziale del nostro Paese non priva di conseguenze, basti pensare che lo Stato paga ancora oggi quasi mezzo milione di pensioni baby, liquidate in quegli anni a lavoratori con meno di 50 anni di età.

Alzare l’età pensionabile per finanziare i sistemi previdenziali. Una parentesi, si diceva, aperta dopo il fascismo che, nel 1939, aveva fissato i limiti di età pensionabile a 60 anni per gli uomini e 55 per le donne e creato l’Inps,  trasformando la più antica Cassa Nazionale di Previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai istituita nel lontano 1898, i cui iscritti ricevevano una rendita vitalizia al raggiungimento dei 60, oppure nel caso fossero diventati inabili al lavoro.

Una parentesi chiusa con la riforma Amato che, nel 1992, alla luce della crisi dei conti pubblici, ha portato ad una revisione complessiva del sistema previdenziale, elevando l’età pensionabile a 65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne. L’innalzamento dell’età pensionabile, infatti, è da sempre uno dei rimedi principali per affrontare i problemi di sostenibilità finanziaria dei sistemi pensionistici.

 

 

E così, durante tutti gli anni Novanta, diversi interventi normativi hanno avuto come intento proprio quello di aumentare progressivamente l’età in cui si può lasciare il lavoro. In particolare, l’obiettivo del pacchetto di misure sulle pensioni varato dal governo Berlusconi nel 2010 (su cui si basa il provvedimento dell’Inps) è quello di prolungare la permanenza al lavoro degli italiani nati dal 1952 in poi in base alla loro prospettiva di vita.

La prospettiva di vita. Sul fronte prospettiva di vita, le notizie sono buone, dato secondo le stime 2014 dell’Oms  (Organizzazione mondiale della sanità), infatti, in tutto il mondo le persone vivono più a lungo. Dai dati emerge che l’Italia è ai primi posti: siamo quinti al mondo per quanto riguarda le donne (85 anni di vita) e settimi per gli uomini (80,2 anni di vita). Secondo i calcoli l’aspettativa di vita nei Paesi sviluppati è aumentata costantemente di tre mesi all’anno dal 1840. Questo significa che, se il trend continuerà allo stesso ritmo, un bambino che nascerà tra quattro anni vivrà, in media, un intero anno di più rispetto ad uno nato oggi. Con una tendenza del genere, entro il 2030 l’aspettativa di vita globale femminile salirà a 85,3 anni e quella maschile a 78,1 ed in Italia, un bimbo nato nel 2018 avrà un’aspettativa di circa 82 anni di vita. Un bel traguardo, considerato che nel neolitico si viveva circa 20 anni, passati a 30 nel Medioevo, divenuti 52 negli anni Sessanta, 56 negli anni Ottanta e 71 nel 2013 ma, come in ogni cosa, c’è l’altra faccia della medaglia: più si vive, più si lavora.

 

 

Si lavorerà fino oltre i 70 anni. L’età di pensionamento, dunque diventa mobile e verrà adeguata ogni tre anni alla speranza di vita della popolazione. Il meccanismo funziona in questo modo: dal 2013 l’Istat (Istituto nazionale di statistica) valuta se nel triennio precedente la speranza di vita per le persone con almeno 65 anni è aumentata e, in caso di risposta affermativa, di quanto è stato l’aumento. In base ai risultati ottenuti viene aggiornata e proporzionalmente aumentata l’età pensionabile. Questo fino al 31 dicembre 2018, data in cui entreranno in vigore le regole previste dalla riforma Fornero e l’adeguamento verrà fatto ogni due anni. Secondo le previsioni, fra cinque anni l’età pensionabile sarà aumentata di ulteriori quattro mesi e, nel 2025 arriverà a 66 anni ed undici mesi.

Già oggi i demografi parlano di “giovani vecchi” (settanta-ottantenni in buona salute) e “vecchi vecchi” (i novantenni ed i centenari) e le prospettive future sono quelle di un mondo in cui si dovrà lavorare anche oltre i 70 anni. Questo perché la società non potrà più permettersi di mantenere i “giovani-vecchi” quando questi rappresenteranno un terzo della popolazione.

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