Aspettando il referendum

"Catalunya independiente" Ma poi il Barça con chi gioca?

"Catalunya independiente" Ma poi il Barça con chi gioca?
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Due anni fa a chi stava assistendo al Clasico Barcellona-Real Madrid venne quasi la pelle d’oca: era il minuto 17.14, e gran parte dei tifosi di casa si alzò in piedi sventolando i drappi giallo-rossi della Catalogna e gridando insistentemente «independencia!». Il minuto non era casuale, ma si riferiva al 1714, anno in cui la città catalana finiva definitivamente sotto il controllo della Spagna. Quella gara arrivava poche settimane dopo una delle più grandi manifestazioni per l’autonomia catalana mai viste: l’11 settembre 2012 quasi un milione e mezzo di persone sfilava nelle strade della città mediterranea. L’impatto di quanto successo quella sera al Camp Nou fu enorme, a ribadire un’altra volta quanto vicina sia la storia di uno dei club più titolati d’Europa alla sua regione di provenienza. Oggi quella città e quella gente attende di conoscere il suo futuro, bramoso di indipendenza, ma pieno di incognite dopo che la Corte Costituzionale spagnola ha congelato il referendum in programma tra un mese esatto.

Il governo regionale regge il braccio di ferro, convoca la commissione elettorale e spera che, se davvero il 9 novembre i catalani riusciranno ad andare alle urne, l’esito possa essere diverso da quanto successo in Scozia. Tuttavia, ieri si è aggiunta una perplessità, proprio connessa alle due squadre di calcio più importanti della regione. «Se la Catalogna diventasse indipendente Barcellona ed Espanyol non giocherebbero il campionato», ha sentenziato Javier Tebas, presidente della Liga spagnola. «Il regolamento attuale dice che c’è solo uno stato non spagnolo che può giocare nella Liga o in altre competizioni ufficiali iberiche, e questo è Andorra», Parole pesanti, forse pronunciate a solo scopo deterrente ad un mese dall’ipotetico voto. E che aprono ad uno scenario immaginario decisamente grigio e, proprio per questo, da evitare per tutti.

La Liga, ovviamente, è un tavolo che si regge su due gambe principali: Barcellona e Madrid. Inutile spiegare quanto perderebbe il campionato, come appeal e sponsor, qualora una delle due città venisse meno. In verso opposto, i catalani vedrebbero esautorato enormemente il loro prestigio in un torneo a parte, senza poter incrociare corazzate come Real, Atletico, Athletic Bilbao, Valencia ecc... Per questo le parole di Tebas lasciano il tempo che trovano. Ma al Camp Nou hanno rivangato come l’unità tra Catalogna e Spagna sia cosa tanto odiata da molti tifosi quanto necessaria per il benessere finanziario dei blaugrana.

Inoltre, il Barcellona è una squadra che da decenni ha dato forma calcistica e popolare a quegli ideali indipendentisti. “Més que un club” si legge sui seggiolini del Camp Nou: più di una semplice squadra. Lo dimostra il dibattito sull’autonomia catalana: da sempre il club non è rimasto fuori dalla vicenda, schierandosi con varie iniziative in difesa dell’autonomia regionale. Dalla loro, tanti tifosi nella storia hanno apprezzato: spesso la Marcha Real è stata fischiata nelle gare casalinghe del Barça, visto quasi come una squadra nazionale. In passato, molti aficionados fuori dalla Catalogna avevano scelto i blaugrana come alternativa allo strapotere centralista di Madrid, che il Real ha incarnato con forza, specie in epoca franchista. E se il ritorno della democrazia in Spagna negli anni Settanta ha raffreddato queste divisioni, negli ultimi anni si è riacceso il grido di indipendenza, spesso rimbombato proprio sugli spalti del Camp Nou.

Ma a Barcellona c’è anche un altro club, l’Espanyol, che troppe volte ha risentito dell’aura dei ben più forti rivali. Eppure i Periquitos hanno un’identità tutta loro, fiera e gagliarda. Sono nati poco dopo il Barça, e se i blaugrana all’inizio facevano giocare solo stranieri, il club bianco-blu fu fondato per dar spazio agli spagnoli. Il franchismo esasperò le differenze: dei due club, si dice che l’Espanyol fosse quella più amata dal generale e che spesso avesse rapporti col governo centrale. Quando poi il regime finì, l’Espanyol invertì la tendenza e prese il suo nome attuale, traducendolo dal castigliano al catalano. Dando ancor più gusto al derby di Barcellona, poco atteso dai blaugrana (che sentono di più il Clasico col Real Madrid) ma assai amato da loro. Questo è il calcio a Barcellona, una città spaccata tra due squadre e sospesa su un futuro politico ed economico pieno di punti di domanda.

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