Sul timbro si potrà avere "Architetta" L'ha decretato l'Ordine di Bergamo
Lo scorso 15 marzo, l’Ordine degli Architetti di Bergamo ha deliberato la possibilità per le professioniste iscritte di richiedere il timbro con dicitura “Architetta”, sancendo così la fine dello strapotere dell’esclusiva declinazione al maschile, “Architetto”. La richiesta è partita da tre professioniste bergamasche che hanno visto, nella possibilità della duplicazione del timbro, un passo verso la parità di genere e un’occasione per includere le donne – anche su un piano linguistico e formale – in ruoli professionali considerati dalla grammatica italiana (e forse non solo da quella) maschili.
Il fatto che una tale iniziativa sia sorta e che sia stata recepita formalmente da un Ordine Professionale è, senza dubbio, un segno di cambiamento dei tempi ed è sicuramente un dato apprezzabile, degno di nota e attenzione. La sensazione, però, è che le (sacrosante) questione di genere, concettualmente correttamente sollevate, siano spesso mal poste. Pur essendo nobile l’intento delle architette bergamasche e rispettabile il punto di partenza, frutto di un comune e sempre più diffuso sentimento, pare eccentrico (nel senso geometrico della parola) il bersaglio.
Nell’ambito delle libere professioni esercitate da donne, la vera offesa inaccettabile alla parità di genere è la disparità delle parcelle a parità di prestazioni e competenze. O ancora, l’idea radicata nella quotidianità nella nostra società che la donna con un bel completo accanto all’uomo con altrettanto bel completo sia – il più delle volte – confusa con la segretaria. La soluzione? La più ovvia, il nostro lavoro. La dimostrazione quotidiana, costante e possibilmente naturale, che le doti professionali di chiunque siano da valutare indipendentemente dal genere di appartenenza. Caratteristica che prescinde da una scelta, a differenza della professione che, al contrario, è costata a tutti anni di studio e esami di Stato. Adeguarsi ai tariffari professionali e non accettare di essere più economiche in quanto donne, di “costare di meno” di un uomo in quanto uomo, conclusione, questa sì, che sottintende l’esistenza di un emolumento maschile alpha altrimenti raggiunto dalla donna in questione, e dunque, di stampo sessista e discriminatorio. O peggio, un giudizio preventivo sulla qualità del lavoro.
Lavorare e vivere, insomma, naturalmente, in questo mondo di maschi e di uomini, di architetti e di avvocati e non sventolare bandiere che altro non fanno che alimentare una dialettica fin troppo facilmente esposta e degradata al fastidiosissimo rango di “capriccio” (sost. m.), perché:
- Non esiste contrapposizione, né competizione.
- Siamo due metà del cielo, dei cantieri, degli ospedali, dei tribunali, di tutti gli angoli del mondo nei quali si esprime la vita professionale di tutti.
- La parità dei sessi – e perdoneranno la prosaicità di quanto segue – comincia da competenza, professionalità e affidabilità, passa per le parcelle e finisce sul timbri. Per poi proseguire per i diritti, le opportunità, la crescita, le tutele.
Questo ha il sapore della parità. Nell’attesa, un sincero complimenti per l’iniziativa alle Architette.