Prospettive sociali errate

Sulle pensioni si fa dietro-front L'Italia rimane un Paese per vecchi

Sulle pensioni si fa dietro-front L'Italia rimane un Paese per vecchi
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Alla fine vincono sempre i vecchi. È la costante che regola la vita pubblica italiana. L’ultimo episodio di queste ore è quello che riguarda l’innalzamento delle pensioni a 67 anni previsto per il 2019. L’Istat ha confermato le stime secondo le quali l’aspettativa di vita a 65 anni si allunga, cinque mesi in più rispetto al 2013. E dunque dal 2019 la pensione di vecchiaia scatterà a 67 anni e non più a 66 anni e 7 mesi, com’è adesso: l’adeguamento è previsto dalla legge Tremonti-Sacconi del 2010, successivamente reso automatico dalla riforma Fornero. Una scelta che non dovrebbe avere alternative, visto che l’Inps ha quantificato in 141 miliardi cumulati nei prossimi dieci anni il costo del mancato adeguamento.

Ma ci sono le elezioni... Ma c’è un problema: nel 2018 si va alle elezioni e così tutti hanno cominciato a tergiversare. Gentiloni, su spinta decisa di Matteo Renzi ben preoccupato per le sorti elettorali del Pd, ha avanzato l’ipotesi di rinviare la decisione sull’adeguamento al prossimo giugno. Mai proposta fu accolta con tanto consenso bipartisan: solo il povero ministro dell’Economia Padoa Schioppa ha tentato una resistenza, avendo in mano i conti e i costi di questo rinvio.

 

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Il problema è sempre il solito. L’Italia è un paese anagraficamente vecchio: oggi il 22 per cento della popolazione ha più di 65 anni. E i vecchi o quasi vecchi rappresentano un bacino elettorale decisivo. Da loro dipendono le sorti della politica e dei partiti e quindi è meglio non indispettirli. Il governo così blocca lo scatto ma in compenso anticipa già le previste eccezioni di chi domani sarà esente da quello scatto, che comunque sarà un passo ineluttabile.

Ai giovani invece nulla. E i giovani? Stanno a guardare. Sul fronte del mondo del lavoro per loro nulla si muove: il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a settembre è risalito al 35,7 per cento, con un aumento di 0,6 punti percentuali su base mensile. L’aumento oltretutto si concentra quasi esclusivamente nell’occupazione a termine: negli ultimi dodici mesi su 100 occupati in più solo 7 avevano un ingaggio sine die. Come ha scritto Daniele Manca sul Corriere della Sera, mentre sul tema previdenza il governo e le forze politiche mostrano una sollecitudine encomiabile, «di politiche attive del lavoro (che pure nelle scelte della manovra del governo qualcosina si intravvede), altrettanto pochi discutono».

 

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Sembra una soluzione senza via di uscita. Un gatto che si morde la coda. Se i numeri dicono che la popolazione anziana è quella elettoralmente più rilevante, è inevitabile che la politica vada al traino di ciò che interessa di più a quel target, tralasciando l’attenzione verso chi invece non ha numeri per incidere: i giovani. I quali, oltretutto emigrano in percentuali sempre maggiori, e quindi in molti neppure voteranno.

Una proposta controcorrente. Una situazione senza soluzioni? Qualche anno fa un economista dell’Università Cattolica, Luigi Campiglio, aveva lanciato una proposta provocatoria ma non troppo: dare alle famiglie un diritto di voto anche per conto dei figli minorenni. Era un modo per riequilibrare gli interessi in un’Italia diventata un paese solo per vecchi. Ovviamente l’Italia paese per vecchi ha archiviato subito quella proposta tra le belle idee impossibili.

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