A tavola con gli antichi romani tra orso, ghiro e altre leccornie

Vini dalla Gallia, da Creta e da Cipro; olio andaluso; miele greco; garum, una salsa a base di pesce salato lasciato macerare al sole, proveniente dal nord Africa: non sono le pietanze di un menù di un hotel a cinque stelle, ma quelle della tavola della ricca Roma Imperiale. Si trattavano proprio bene i romani: dalla vulva di scrofa alle lingue di pappagallo, dalla carne d’orso e di ghiro al grano, dalla frutta alla verdura. Senza neppure farsi mancare quello che noi, oggi, chiameremmo "street food": salsicce, formaggi, pezzi di carne e cipolle da gustare negli antichi punti di ristoro quando la fame prendeva all’improvviso e lontano dalle sfarzose dimore. Le abitudini alimentari dei romani sono oggi raccontate in una mostra, Nutrire l’Impero, da poco inaugurata al museo dell’Ara Pacis di Roma, promossa dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo di Roma - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, dall’Assessorato a Roma produttiva e Città Metropolitana e da Expo. È curata dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e della Soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia e visitabile fino al prossimo 15 novembre.
[La mostra Nutrire l'Impero all'Ara Pacis]
Quanto mangiavano questi Romani. A quel tempo i pasti erano cinque, ricchi e nutrienti. Si cominciava con lo ientaculum, la colazione del mattino, a base di pane, formaggio e uova; poi c’era il prandium che il nome ci porta a dedurre trattasi del pranzo, ma in realtà più simile a uno spuntino, consumato a casa o più spesso presso le "tavole calde", all’epoca dette thermopolia e popinae, o presso i venditori ambulanti, i quali offrivano salsicce, carne essiccata, formaggio, trippa, zampe, interiora, focacce ancora calde (magari cosparse di miele e naturalmente il pane), zuppe di verdure e legumi (soprattutto ceci). Alla sera invece i romani cenevano ben prima del tramonto, cioè verso le quattro, all'ora più o meno della nostra merenda. La cena poteva essere casalinga, per rifarsi delle calde fatiche di un pomeriggio alle terme, con un antipasto e un piatto di carne, o una zuppa di verdure e legumi. Altre volte, invece, la cena era una ricca occasione conviviale – da cui il nome convivium – organizzata per gli amici e che andava dall’antipasto (gustatio) con uova, olive, frutti di mare, verdure bagnate dal mulsum, il vino mielato, a piatti a base di carne e pesce, fino a chiudersi con dolci e frutta.
Soprattutto verdura... Insomma, si trattavano bene nell’antica Roma. Acquistavano enormi quantità di olio, pari a circa 260mila anfore, dalla Beltica, in Andalusia, e dall’Africa, che serviva poi, oltre che per l’alimentazione, anche per l’illuminazione, il riscaldamento, la cosmetica e la medicina. Non si facevano mancare l'arricchito sapore del garum, una salsa a base di pesce di diverse qualità, dallo sgombro allo zerro, pesciolino comune nei fondali di poseidonia, salato e lasciato macerare a lungo al sole, il cui odore era così ripugnante che Seneca lo definiva «la preziosa poltiglia di pesci andati a male». Si potrebbe così dedurre che l’alimentazione romana era per lo più vegetariana: previlegiavano rape, carote, ravanelli, agli, cipolle, porri, zucchine, cetrioli, asparagi, carciofi, cavoli ma anche insalate e vari tipi di legumi, che fornivano proteine; mentre tra i frutti apprezzavano uva, mele, pere, pesche, agrumi, fichi, melagrane, ciliegie, susine, sorbe e datteri.
...ma anche prelibate carni. Ma certo a Roma non era difficile trovare prelibati carni, pesce fresco e frutti di mare. La carne di pecora e di capra era assai comune: il latte veniva trasformato in formaggio, mentre i giovani agnelli andavano ad adornare le mense ricche (gli adulti le tavole della plebe). Ma la carne per eccellenza era costituita da quella di maiale, cucinata in mille fogge e che con l’imperatore Aureliano cominciò pure a essere distribuita gratuitamente ai cittadini romani nel forum suarium, tra il Pincio e l’attuale piazza Santi Apostoli. Poi c’erano galline, piccioni, oche, anatre e cacciagione (pernici, fagiani, gru). In occasioni davvero speciali anche prelibatezze come cervo, capriolo, lepre, ghiro, orso, rane e lumache.
Sapori di mare. Dal mare giungevano invece soprattutto la murena e il pesce lupo, spesso serviti insieme nelle occasioni più importanti. Infine non potevano non comparire le ostriche, servite dai più raffinati su un letto di neve, altra merce rara. I pescetti più piccoli, pescati nel Tevere, erano invece destinati alla mense dei poveri. Ma era il grano l'elemento base dell’alimentazione dei romani. Plinio racconta che i loro avi erano vissuti a lungo mangiando puls, una specie di polenta di farro tostato e macinato, mescolata a latte e accompagnata da verdure o da carne. Il pane lo si conobbe solo nel IV secolo a.C. quando arrivò il grano nudo (triticum), dal quale veniva ricavata una farina adatta all’impasto, poi cotto nei forni delle case.
Fare la spesa nell’antica Roma. Ma dove si approvvigionavano questi goderecci romani? Anch’essi al mercato:il cosiddetto macellum era specializzato oltre che nella vendita di carne, salumi e cacciagione, anche in merci pregiate quali pesce e molluschi. Il primo fu costruito nel III secolo a.C. e sorgeva nell’area che sarebbe stata in seguito occupata dal Foro della Pace, a metà dell’attuale via dei Fori Imperiali. Il più grande mercato romano mai realizzato è stato però il Macellum Magnum, fatto erigere da Nerone sul colle Celio nel 59 d.C., dove si potevano acquistare anche cuochi o dire una preghiera in un'area di culto intitolata a Mercurio e a Nettuno, protettori del commercio. Al Molo di Tor di Nona, scalo fluviale nel tratto settentrionale del Tevere, approdavano invece legno da costruzione, olio e vino provenienti dall’entroterra etrusco, umbro e sabino, tutto trasportato via fiume su barche e zattere. Insomma ce n’era proprio per tutti i gusti e i palati. Bastava essere ricchi.