Tragedia a Cavernago: figlio trentenne uccide a coltellate il padre di 64 anni
L'assassinio sarebbe avvenuto al culmine di una lite tra i due. A dare l'allarme, una vicina di casa. La vittima è Umberto Gaibotti
Tragedia a tinte nere nel primo pomeriggio di oggi, venerdì 4 agosto, a Cavernago, in via Verdi: un giovane di 30 anni, con diversi problemi di tossicodipendenza, avrebbe ucciso a coltellate il padre di 64 anni, Umberto Gaibotti.
Stando alle prime informazioni raccolte, l'omicidio sarebbe avvenuto al culmine di una lite tra i due, iniziata in casa e proseguita nel giardino dell'abitazione, dove il delitto si sarebbe consumato.
Le forze dell'ordine sono state allertate da una vicina di casa, che dopo aver sentito le grida tra Umberto e Federico (questo il nome del figlio, ex gestore di uno studio di tatuaggi a Martinengo) avrebbe subito chiamato il 112. Sul posto sono giunti i Carabinieri e un'ambulanza. Purtroppo inutile ogni tentativo di salvare il 64enne. Il trentenne è stato portato in caserma dai Carabinieri di Bergamo, che stanno procedendo alle indagini per fare chiarezza su quanto avvenuto.
Umberto Gaibotti viveva da solo, essendo separato dalla moglie, la quale invece vive a Seriate.
Per il sindaco era una tragedia annunciata
Come riportano i colleghi di PrimaTreviglio, quella consumatasi a Cavernago si può definire una tragedia annunciata. O almeno stando alle parole del sindaco Giuseppe Togni: «In questi ultimi sei mesi il ragazzo ha dato segnali di instabilità dovuti a problemi di tossicodipendenza - ha spiegato ai colleghi il primo cittadino -. In diversi casi si è dovuti intervenire con un Tso e si stava valutando l'inserimento in una comunità di recupero. Si erano già verificati dei momenti in cui era andato fuori controllo, ma quella di oggi è una tragedia. Una tragedia annunciata».
«Il nostro ordinamento è claudicante sul tema - ha aggiunto Togni -, alle famiglie che vivono queste situazioni difficili non vengono forniti strumenti adatti. Gli stessi ricoveri in neuropsichiatria durano dai 7 ai 15 giorni, ma non risolvono il problema. L'inserimento in comunità, poi, è un percorso volontario e difficile da gestire. Le famiglie vengono abbandonate a loro stesse. Noi facciamo il possibile, ma questi sono temi che devono essere affrontati a livelli più alti. Le famiglie non devono rimanere sole. Davanti a queste tragedie si resta davvero molto male».