Fino alle ultime polemiche

Prima i treni, poi le seggiovie La Val Brembana affumica il futuro

Prima i treni, poi le seggiovie La Val Brembana affumica il futuro
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La ferrovia perduta, un tunnel mai completato, una seggiovia bruciata e un orizzonte carico di fumo. Nero. La storia degli ultimi decenni della Valle Brembana è legata a doppio filo alla mobilità e al trasporto. Una volta c’era il treno che dalla città saliva sino a Piazza Brembana, seguendo un incredibile tracciato fatto di viadotti e gallerie, ma anche di binari che lambivano o addirittura penetravano borghi e private abitazioni. Nel 1966 tutto finì sulla spinta del boom economico, dell’auto per tutti e dei trasporti su gomma, a dispetto di locomotori ritenuti troppo slow.

La nuova era, dopo il rogo. Il treno e la sua storia finirono al rogo, in senso strettamente letterale, dato che dopo la dismissione le ultime carrozze delle Ferrovie delle Valli Bergamasche furono bruciate a San Giovanni Bianco nel 1968, per chiudere definitivamente con l’impeto di una supposta modernità una storia (eroica) iniziata nel 1906 e ben raccontata nel volume Ferrovie perdute di Dino Oberti. Quel rogo, con valligiani trionfanti in posa per l’occasione, sancì il via definitivo all’era del turismo da bere, degli impianti di risalita a Piazzatorre e Foppolo, che da ameni luoghi fatti di pascoli e contrade divennero ben presto cubici quartieri dall’appeal metropolitano. Un’era di benessere e di seconde case, ben presto divenuta l’epoca delle code.

 

Gennaio 1968, il rogo delle vetture della Ferrovia Valle Brembana

 

L’urgenza tragica, ma per certi versi benvenuta, degli interventi per l’alluvione del 1987 con nuove gallerie e messe in sicurezza, non si è completata ai giorni nostri con la famigerata variante di Zogno, rimasta incompiuta dopo i trionfalismi dell’era Pirovano e quelli incerti dei nuovi progetti ancora in divenire. Lassù a Foppolo il sogno è andato in fumo, anche qui in senso strettamente letterale, con il rogo della seggiovia dell’8 luglio del 2016. Un evento triste ed eclatante, in un panorama che presenta intrecci complicati e non sempre virtuosi, con la novità degli ultimi giorni che vede Regione Lombardia “staccare l’ossigeno”, con la revoca del prestito di oltre due milioni di euro .

E ora torna lo slowA ben guardare al rogo sono andate definitivamente epoche ed epopee figlie dei tempi, prodighe di sogni immediati ma prive di prospettive strutturali. Resta, purtroppo, una Valle Brembana in cenere, che rimpiange il treno (è nato anche un comitato per tutelare l’antico sedime) e finalmente comprende che essere slow è di nuovo terribilmente di moda. Certo, la variante di Zogno va finalmente completata, quantomeno per il traffico quotidiano punteggiato di tir rossi che fanno la spola con lo stabilimento della S.Pellegrino. Ma a crescere dev’essere la consapevolezza di una valorizzazione territoriale che passi da un’identità originale ed inalienabile.

 

Luglio 2016, il rogo della seggiovia a Foppolo

 

Curioso notare sui social in questi giorni una polemica (con centinaia di commenti e accesi dibattiti) dedicata ai cicianebbia, cioè ai milanesi rei di invadere la Valle e di abboccare a tipicità su cui molti (a torto) si mostrano scettici. È il termometro local, delle esasperazioni quotidiane della politica, ma anche il sintomo chiaro di come la mentalità che tutti invocano debba tutt’oggi essere formata. Quel trenino eroico degli Anni Sessanta oggi avrebbe rivaleggiato con quello del Bernina o con la ferrovia del Renon sopra Bolzano, con la variante di Zogno i Tir non avrebbero fatto la spola,  i pendolari (e con loro i cicianebbia) avrebbero tolto le code. Bisogna evitare che il fumo dei roghi oscuri il futuro. Vorremo mica affumicare anche il formaggio e le mele?

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