Tutti i pro e i contro del populismo (Sulla corsa alla Casa Bianca)

George Packer, giornalista di punta del New Yorker, ha scritto un articolo interrogandosi sul fenomeno del populismo, oggi che in America – a meno di un anno dall’inizio delle primarie che porteranno ad eleggere il nuovo Presidente l’8 novembre del prossimo anno – due personaggi considerati “populisti” sono in testa ai sondaggi nei due partiti principali: Donald Trump nel partito Repubblicano e Bernie Sanders in quello Democratico. L’articolo fa un po’ di chiarezza sulle posizioni dei due candidati, e contiene delle considerazioni sul fenomeno del populismo che possono essere allargate a tutte le democrazie occidentali. Pertanto – per appassionati di politica americana e politica in generale – ne riportiamo la traduzione.
Thomas E. Watson, un populista della Georgia che ha avuto una lunga e progressiva carriera demagogica nella politica americana, ha scritto nel 1910: «La feccia della creazione ci è stata scaricata addosso. Alcune delle nostre principali città sono più straniere che americane. Le più pericolose e corrotte orde del Vecchio Mondo ci hanno invaso. I vizi e i crimini che ci hanno piantato nel mezzo sono nauseanti e terrificanti. Che cosa ha portato questi Goti e Vandali sulle nostre sponde? I produttori sono certamente da biasimare. Volevano lavoro a basso costo: non gli importava un accidente del danno che la loro politica senza cuore stava arrecando al nostro futuro». L’oggetto dell’ira di Watson erano gli italiani, i polacchi, gli ebrei e altri immigrati europei che erano arrivati negli Stati Uniti. Un secolo dopo, nell’estate populista del 2015, alcuni dei loro pronipoti stanno facendo il tifo per Donald Trump mentre questi denuncia l’ultima generazione di immigrati, in termini peraltro molto simili.
Il populismo americano ha una storia complicata, e Watson ne incorporò i paradossi. Come Senatore degli Stati Uniti, terminò la sua carriera aizzando il conflitto tra bianchi protestanti e neri, cattolici ed ebrei; ma all’inizio della carriera, come leader del People’s Party (Partito della Gente, ndr), nell’ultimo decennio dell’Ottocento, esortò bianchi e neri a unirsi per capovolgere l’ordine economico che veniva denominato “the money power” (il potere del soldi, ndr). Watson si riciclò come Trump, ma iniziò la sua carriera politica con idee simili a quelle di Bernie Sanders, tanto che la sua ostilità verso il più alto 1 percento della popolazione di quell’Era Dorata renderebbe Sanders orgoglioso. Alcune delle prime idee di Watson – la consegna gratuita della posta in ambienti rurali, per esempio – ebbero buon fine.
[Bernie Sanders, uno dei cinque candidati democratici per la presidenza Usa]
Questa è la natura volatile del populismo: può illuminare la necessità di fare riforme o reagire, idealisticamente o trovando un capro espiatorio. Fiorisce in periodi come quello di Watson o il nostro, quando un ampio numero di cittadini che si vedono come la colonna vertebrale dell’America (“produttori” allora, “classe media” oggi) ha la sensazione che il gioco sia stato manipolato per remargli contro. Non sono i dannati della terra – Sanders attrae cittadini colti, mentre Trump attrae uomini d’affari di piccole città. Sono persone con un senso di proprietà violata, che detengono la visione di un’America che in passato era un posto migliore ed è oggi messa in pericolo.
Il populismo è più un atteggiamento o una retorica che un’ideologia o un’insieme di posizioni. Parla di una battaglia del bene contro il male, che richiede risposte facili a problemi difficili (Trump: «Commercio? Lo aggiusteremo. Assitenza sanitaria? La aggiusteremo»). [Il populismo] È sospettoso della normale contrattazione e del compromesso che costituiscono il tessuto di un governo democratico (Sanders, pubblicamente, ha celebrato di rado i suoi successi bipartisan come presidente del Senate Veterans’ Affairs Committee). Il populismo può assumere una piega cospiratoria o apocalittica – la credenza che il Paese, o quantomeno la maggior parte di esso, stia affrontando un’imminente rovina protratta da un particolare gruppo di malefattori (messicani, miliardari, ebrei, politici).
[Donald Trump, uno dei 17 candidati repubblicani per la presidenza Usa]
Dopotutto, il populismo cerca e al contempo anima un’autentica voce che appartiene alle persone. I seguaci di Sanders e Trump premiano la capacità del loro uomo di dire quello che le persone ordinarie sentono e i politici hanno paura a dire. «Posso non essere d’accordo con Bernie su tutto, ma penso che abbia dei valori, e sarà legato a quei valori e non ci mentirà mai», ha detto un supporter di Sanders di nome Liam Dewey ad ABC News. Il fatto che Sanders abbia la tendenza ad apparire alle Conferenze degli Studiosi Socialisti a partire dal 1986 – oggi le sue folle raggiungono le 27mila persone – non ha fatto che aumentare l’idea della sua buona fede. È l’improbabile beneficiario di un pubblico profondamente disincantato. Così come per Trump, la sua retorica è così grezza e brusca e onesta che i suoi fan sono continuamente rassicurati dalla sua autenticità.
Rispondendo allo stesso momento politico, i fenomeni di Trump e Sanders si assomigliano sulla superficie. Entrambi gli uomini non hanno una storia di fedeltà al partito, il che non fa altro che aumentare la loro credibilità da strada – la loro autorità deriva da un legame diretto con i loro sostenitori, senza che vi siano interferenze istituzionali. Entrambi inveiscono contro le offerte di commercio estero, denunciano il tasso ufficiale di disoccupazione ed esprimono disprezzo per la classe politica e il denaro sporco che serve per rimanere in carica. La scorsa settimana, Trump ha anche denunciato una scappatoia fiscale che aiuta gli interessi dei manager e degli investitori (uno dei bersagli preferiti della sinistra). «Questi ragazzi degli hedge funds se la cavano con niente per degli omicidi», ha detto a CBS News. «Questi ragazzi spostano carta qua e là e hanno avuto un colpo di fortuna».
[I candidati repubblicani Scott Walker, Donald Trump e Jeb Bush]
Ma la reale differenza tra Sanders e Trump è ampia, e più fondamentale della differenza tra il loro stile personale o il posto che occupano sullo spettro politico. Sanders, che ha speso la maggior parte della sua carriera come un outsider dall’interno, crede fortemente nella politica. Vede l’arena politica come battaglia tra classi diverse (sembra proprio che odi i ricchi anche più di Elizabeth Warren), ma crede che i loro conflitti possano essere gestiti tramite elezioni e legislature. Quella che Sanders chiama rivoluzione politica è più vicina ad essere, concretamente parlando, una campagna atta a mettere in moto delle riforme plausibili. Propone una tassa per le transazioni finanziarie e la decostruzione delle più grandi banche; non chiede la nazionalizzazione del sistema bancario. Le sue visioni possono atterrire Wall Street, ma quantomeno esistono all’interno del regno della persuasione razionale.
Trump (qualsiasi cosa pensi davvero) sta giocando il gioco dell’anti-politica. Da George Wallace a Ross Perot, l’anti-politica è stata una costante nella recente storia americana; candidati diversi come Jimmy Carter, Ronald Reagan e Barack Obama hanno ottenuto la presidenza dando l’impressione di rifiutare o andare oltre il non amato business di politica e governo. Trump attua la stessa operazione demagogica a un livello estremo. Non esiste una parola più sporca nel lessico dei suoi discorsi della parola “politico”. Egli incita il disprezzo nel suo pubblico per la nozione stessa che i problemi vadano risolti attraverso mezzi politici. La Cina, lo Stato Islamico, gli immigrati, la disoccupazione, Wall Street: fategli gestire il tutto – costruirà il muro (è sua intenzione esplicita costruire un muro al confine con il Messico, ndr), farà deportare 11 milioni di persone, riscriverà il 14esimo Emendamento, creerà i posti di lavoro, ucciderà i terroristi. Non offre nessuna idea al di là di se stesso; è il leader che può risolvere il declino della nazione con la sola forza della personalità. Parlando di recente a Mobile, in Alabama, è arrivato a chiedersi se il governo rappresentativo era realmente necessario. Dopo aver mostrato il suo dominio in vari sondaggi, Trump ha chiesto alla folla di 30mila persone: «Perché abbiamo bisogno di un’elezione? Non abbiamo bisogno di un’elezione». Quando Trump stringe gli occhi e protende le labbra, è un uomo di spettacolo che finge di essere un uomo forte.
Non ci sono molti esempi di populisti che hanno interpretato la parte dell’uomo forte nella storia americana (Huey Long viene alla mente). Il nostro attaccamento alla democrazia, se non quello per le sue istituzioni e i suoi professionisti, è stato troppo forte. Ci sono altri esempi di populisti che, pur non riuscendo a vincere le elezioni nazionali, hanno esteso i parametri del discorso e portato a importanti riforme (si pensi di Robert M. La Follette, Sr.). Anche se i presidenti populisti si fanno eleggere raramente, possono – come il giovane Tom Watson e il vecchio – pulire un po’ l’aria nel panorma politico.