«Una morte annunciata»: Roberto Franzè si toglie la vita in carcere
L'uomo dagli inquirenti era considerato vicino alla cosca Romano di Vibo Valentia. Il suo avvocato: «È doverosa una riflessione sul regime carcerario»
Roberto Franzè, calabrese classe 1976 residente a Pumenengo, si è tolto la vita nel carcere di Ascoli Piceno. Dura la presa di posizione del suo legale Gianbattista Scalvi, che assisteva l'uomo insieme alla collega del Foro di Bergamo Anna Marinelli. L'avvocato ha parlato di fatto di una morte annunciata. E' successo ieri, a darne notizia è Prima Brescia.
"Una morte annunciata": Franzè si toglie la vita in carcere
"Una situazione segnalata più volte, anche due giorni prima del suicidio", ha spiegato Scalvi. Il legale ha sottolineato che su questa vicenda "è sicuramente necessaria una riflessione sul regime carcerario, ma soprattutto sull'utilizzo delle misure cautelari in carcere". Franzè aveva scritto nelle sue numerose lettere questo intento e l'avvocato lo aveva fatto presente anche in aula.
"Devo dire che ho trovato grande sensibilità da parte del magistrato di sorveglianza di Ascoli - ha continuato Scalvi - Eravamo alla ricerca di una comunità che ospitasse Franzè, che a causa delle sue patologie non poteva stare in carcere. Era invalido civile al 100% e sorvegliato nel Reparto psichiatrico, ma nonostante questo è riuscito comunque a togliersi la vita. Non abbiamo trovato la stessa sensibilità, invece, da parte della burocrazia che si occupa del sostegno di queste patologie".
L'avvocato ha rimarcato come il suo assistito fosse "ossessionato dai numerosi procedimenti e dalle misure cautelari tutti concentrati, per fatti rispetto ai quali il mio assistito aveva sempre sostenuto di essere innocente".
Chi era Roberto Franzè?
Estorsione, rapina, sequestro di persona, lesioni, ricettazione, detenzione e porto abusivo di arma e abusiva attività finanziaria, tutti aggravati dal metodo mafioso. Ma non solo, anche usura con tassi tra il 130 e il 429%. Era novembre quando Franzè era stato colpito dall'ennesima ordinanza di custodia cautelare. Lui che era già finito al centro dell'inchiesta sulla 'ndrangheta "Atto finale", coordinata dalla Dda di Brescia.
L’uomo, che si trovava già dietro le sbarre ad Ascoli Piceno proprio in quanto al centro di "Atto finale" e dagli inquirenti era considerato vicino alla cosca Romano di Vibo Valentia, di recente era stato condannato dal Tribunale di Brescia a 3 anni di reclusione per aver tentato di estorcere (sempre con metodo mafioso) 100mila euro a una coppia di imprenditori della Bassa bresciana, residenti in un Comune vicino a Chiari. Per l’accusa avrebbe agito insieme al consulente finanziario clarense Giuseppe Familari e all’erbuschese Massimo Mondini. I due torneranno in aula il 20 dicembre per la sentenza.
Estorsioni e pestaggi con metodo mafioso
L'ultima indagine, coordinata sempre dalla Procura della Repubblica (Direzione Distrettuale Antimafia di Brescia), aveva consentito di raccogliere gravi e concordanti indizi di reato a carico di Franzè. Il calabrese, nonostante si trovasse affidato in prova al servizio sociale a seguito di condanna per altri reati, con la collaborazione del fratello e di altri quattro indagati, fra settembre 2019 e maggio 2020, dopo aver carpito la fiducia di tre imprenditori in difficoltà economica operanti in Lombardia nei settori commerciali della rivendita di autovetture, di bevande e di gestione di sale slot machine, secondo gli inquirenti avrebbe concesso loro una serie di prestiti usurai con tassi compresi fra il 130 e il 429%.
Tuttavia le vittime, sempre secondo la tesi dell’accusa, non sarebbero state più in grado di far fronte alle perentorie richieste di pagamento, anche a causa della crisi economica legata alla pandemia. A quel punto Franzè non avrebbe esitato ad avviare nei loro confronti una serie di estorsioni tentate e consumate. Infatti, stando a quanto emerge dalle indagini condotte dal Reparto operativo del Nucleo investigativo del Comando provinciale dei carabinieri di Brescia, uno degli imprenditori era stato anche vittima di rapina a mano armata, sequestro di persona e gravi lesioni personali a seguito di un efferato pestaggio.