Un'altra rivoluzione di Bergoglio «La psicanalisi mi ha aiutato molto»
Il mondo cambia, ma il mondo di papa Bergoglio cambia ancora più in fretta. Giovedì è stata resa nota l’anticipazione di un libro intervista in uscita in Francia: si tratta della trascrizione di 12 dialoghi con il sociologo Dominique Wolton (titolo Politique et société, edizioni L’Observatoire). In uno di questi colloqui Francesco fa una rivelazione abbastanza clamorosa: «Ho consultato una psicanalista ebrea. Per sei mesi sono andato a casa sua una volta alla settimana per chiarire alcune cose. Lei è sempre rimasta al suo posto. Poi un giorno, quando stava per morire, mi chiamò. Non per ricevere i sacramenti, dato che era ebrea, ma per un dialogo spirituale. Era una persona buona. Per sei mesi mi ha aiutato molto, quando avevo 42 anni». L'esperienza resa nota da Francesco si colloca negli anni difficili della dittatura in Argentina, tra 1978 e 1979. Padre Bergoglio aveva concluso la complicata esperienza di provinciale dei gesuiti d'Argentina e stava iniziando quella di rettore del Collegio Máximo, dove venivano formati gli studenti che desideravano entrare nella Compagnia.
Per capire quanto corre il mondo di Bergoglio bisogna sapere che nel 1952, cioè neppure 70 anni fa, nel 1952, sul Bollettino del clero romano, si qualificava addirittura come «peccato mortale» ogni pratica psicoanalitica. Nel mirino il «pansessualismo», ma anche l’ambizione «totalitaria» sulle anime da parte della psicanalisi. Nel luglio 1961, con Giovanni XXIII, il Sant’Uffizio proibì ai preti di praticare la psicanalisi e ai seminaristi di sottoporvisi. Era stato Paolo VI (non a caso il papa più amato da Bergoglio) a capire questa chiusura così rigida era anacronistica. Nella enciclica Sacerdotalis coelibatus del 1967 aveva riconosciuto la possibilità di un aiuto psicoanalitico per i sacerdoti in difficoltà». Durante un’udienza nel 1973 aveva fatto un’apertura cauta e intelligente: «Abbiamo stima di questa ormai celebre corrente di studi antropologici, sebbene noi non li troviamo sempre coerenti fra loro, né sempre convalidati da esperienze soddisfacenti e benefiche». Paolo VI era stato anche il papa che aveva attraversato la stagione più drammatica della chiesa e che aveva chiuso il suo pontificato dovendo fare i conti con la sconfitta della mancata salvezza di Moro. Ed è proprio la figura di Montini ad aver ispirato a Nanni Moretti, che nel film Habemus papam, sottoponeva il suo immaginario pontefice in crisi di fede ad una seduta psicoanalitica.
Bergoglio è l’antitesi del papa morettiano. È un papa che si sente libero, come dice con nettezza negli stessi colloqui in via di pubblicazione. «Mi sento libero. Certo, sono in una gabbia qui al Vaticano, ma non spiritualmente. Non mi fa paura niente». Non gli fa paura certamente Freud che aveva citato in occasione di un’intervista Ferruccio De Bortoli nel 2014: «Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione». Che un papa citasse Freud era già sintomo di apertura mentale e di apertura al nostro tempo. Ma qui Bergoglio faceva di Freud un alleato, contro l’idealizzazione stessa della figura del papa, ridotto a fenomeno mediatico e a fatto spettacolare.