Ci sarebbero già almeno 26 morti

Il campo profughi di Yarmouk Gli orrori del Califfo tra i palestinesi

Il campo profughi di Yarmouk Gli orrori del Califfo tra i palestinesi
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Il campo profughi di Yarmouk, meno di dieci chilometri a sud di Damasco, accoglie rifugiati palestinesi dal 1957, anno in cui sorse ufficialmente. E in questi giorni è tornato alla ribalta delle cronache per l'avanzata dell'Isis verso Damasco: qui, da alcuni giorni, i miliziani dello Stato Islamico combattono contro i palestinesi e alcune componenti dell'esercito siriano libero. Una guerriglia urbana che ha già provocato la morte di almeno 26 persone.

Cos'è Yabrouk. A vivere a Yabrouk sono quei palestinesi cacciati dalla loro terra e dalle loro case dopo la nascita dello stato di Israele, nel 1948. È uno dei campi profughi più grandi di tutto il Medio Oriente, tanto da essere considerato la capitale della diaspora palestinese. Prima dello scoppio della guerra civile siriana, nel 2011, a Yarmouk vivevano 150mila persone. L’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi e del Vicino Oriente, gestiva 28 scuole, funzionavano edifici pubblici, ospedali e moschee. Dal 1956 una legge approvata dal governo di Damasco garantisce ai rifugiati palestinesi gli stessi diritti dei cittadini siriani, favorendo la loro occupazione e lasciandogli piena libertà di movimento.

 

 

 

Yarmouk e la guerra civile siriana. Dopo l’intensificarsi degli scontri tra truppe governative e forze ribelli siriane, dal 2012 Yarmouk è bersagliata dai raid dell’esercito siriano e oggi il campo profughi è abitato da circa 18mila persone, tra palestinesi e siriani. 3500 sono bambini. A Yarmouk, da quando sono cominciati i raid, la mancanza di cibo, acqua, energia elettrica, è una costante. Da febbraio 2014 il campo è controllato dai palestinesi di Aknaf Beit Al Maqdis, un gruppo vicino ad Hamas che in Siria combatte contro il regime di Bashar Al Assad. E proprio il leader di Hamas, Khaled Meshal, ha vissuto a Yarmouk fino al febbraio del 2012, quando si è trasferito in Qatar dopo essersi rifiutato di sostenere Assad. A quel punto le leadership dei movimenti islamici hanno dichiarato il loro sostegno all’opposizione siriana. Da sempre Yarmouk è considerata la porta verso Damasco, per questo motivo le milizie che combattono il regime lo hanno eletto loro base militare preferita. Un fatto che ha scatenato le ire e le ripercussioni da parte delle milizie governative, che già dai tempi di Assad padre hanno sempre visto Yarmouk come una roccaforte dell’opposizione.

L’attacco dell’Isis. Il 1 aprile i miliziani dell’Isis hanno lanciato un attacco al campo e hanno iniziato una battaglia con le milizie presenti sul territorio, composte da palestinesi e da alcuni combattenti dell’Esercito siriano libero, che si oppongono al regime di Assad. Una vera e propria guerriglia urbana, c’è chi dice innescata da un’alleanza tra l’Isis e i qaedisti del Fronte Al Nusra, e chi dice da una coalizione tra palestinesi e qaedisti per combattere gli jihadisti. In questa situazione di totale confusione si è aggiunta la battaglia tra gli islamisti dell’Isis e le forze governative di Damasco. Quel che è certo è che dopo cinque giorni di guerra, a regnare sovrana nel campo è la morte.

 

 

 

Gli jihadisti guadagnano terreno. Nella lotta gli jihadisti hanno avuto la meglio e oggi controllano almeno il 90 percento di Yarmouk. Fonti ufficiali parlano di 26 morti, anche se le fonti mediche sostengono che le vittime siano almeno 200. Molti sono stati decapitati, le esecuzioni sommarie non si contano ormai più, così come i rapimenti. L’Isis tiene in ostaggio molti medici, che sono pertanto impossibilitati a portare il loro aiuto ai bisognosi. La gente, disperata, tenta di fuggire. L’Onu per ora è riuscito a mettere in salvo circa 2mila persone.

Gli appelli per evitare il massacro. Ahmed Majdalani, un funzionario dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, ha dichiarato che una delegazione è partita per Damasco per discutere la creazione di un corridoio umanitario. L’Olp ha anche rivolto un appello a tutte le parti coinvolte affinchè si giunga a «un immediato accordo per proteggere il campo ed evitare che si trasformi in un campo di battaglia». Un grido di aiuto cui ha fatto eco quello della Lega Palestinese per i Diritti Umani in Siria che ha rivolto un appello per un intervento urgente dell'Unrwa, dell'Unhcr, della Croce Rossa Internazionale, della Mezzaluna Rossa e di tutte le altre organizzazioni umanitarie ed internazionali perché garantiscano un passaggio sicuro fuori da Yarmouk attraverso i checkpoint controllati dal regime siriano e dai suoi alleati. Chiedono anche le garanzia che nessuno venga arrestato come è già accaduto in diverse occasioni.

I timori dell'Onu. A Yarmouk è in corso un vero e proprio disastro umanitario. Un funzionario dell'agenzia dell'Onu per i rifugiati, Chris Gunness, ha detto che la situazione è «al di là del disumano». Anche in questi giorni a Yarmouk non c’è cibo, non c’è acqua, i farmaci scarseggiano, e persino il Consiglio di sicurezza dell’Onu, solitamente assai cauto, ha condannato per bocca del suo presidente di turno, l’ambasciatrice giordana Dina Kawar, la situazione disumana dei profughi. Il Consiglio di Sicurezza chiede che vengano garantiti «la protezione dei civili nel campo» e «l'accesso umanitario», compresa «l'assistenza per interventi salva-vita» e il passaggio sicuro per l'evacuazione dei civili.

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