Cinema

“Asteroid City”, tutto il meglio e il peggio di Wes Anderson

Il regista ripropone i suoi soliti schemi concettuali: forse sarebbe il momento di tentare un’evoluzione

“Asteroid City”, tutto il meglio e il peggio di Wes Anderson
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di Fabio Busi

«Ogni volta, quando un mio film ha successo, mi chiedo: come ho fatto a fregarli ancora?» (Woody Allen). Sembra un'affermazione adatta all'ultimo lavoro di Wes Anderson, “Asteroid City”. Un film che è beffa, provocazione, sfogo narcisistico di un autore che anche quando divaga riesce a consegnarci qualcosa di significativo. Un regista dittatore del racconto che si diverte con noi, pecorelle smarrite nei meandri delle storie, in cerca di senso.

Potremmo dire che Wes metta in fila tutte le devianze, i però, le eccezioni, gli squilibri, le incoerenze, i vuoti di senso che potrebbero attanagliare i suoi film. Li condensa in un'opera priva di significato coerente, il cui valore sta soprattutto nel significante, nell’ipnosi dei suoi giochi registici, oltre che negli spunti “meta” che si aprono tra i piani narrativi: quello della realtà e quello della finzione. Una distanza incolmabile, segnalata dal bianco e nero che si contrappone ai colori ipersaturi.

«Io sono l'autore e muovo i fili della vicenda come mi pare e piace, a costo di deviare il significato, di confondere il pubblico». Questo dice “Asteroid City”: il cinema è pieno della vita degli autori e degli attori, per questioni spesso collaterali (ad es. una raccomandazione per favori sessuali), ma resta una finzione artificiosa e ingannevole, arbitraria, distante dal vero. A maggior ragione in un film di Wes, dove l'alienazione e i personaggi dis-umani sono ovunque.

«Non importa cosa stai raccontando, continua a farlo (nel tuo stile)». Il cinema come carillon farsesco, come giocattolo, proiezione premeditata della personalità (eccentrica) di un autore. Sembra un contro-manifesto rispetto all'autenticità che emergeva nell'ultimo Tarantino. Qui, tuttavia, il piatto è più povero e i ragionamenti metanarrativi non vengono sostenuti da gingilli estetici particolarmente rilevanti e nuovi, o da contenuti degni di nota. Insomma, Wes fa Wes e riusa i suoi topoi, a volte ci strappa un sorriso, ci affascina, ma oltre a riflettere su di sé forse sarebbe il momento di tentare un'evoluzione, di uscire dalla zona di comfort.

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