Recensione

“Dungeons & Dragons - L'onore dei ladri”, atto d’amore per i giochi di ruolo (e parata di cosplayer)

Il film non vuole risultare credibile, quanto omaggiare un mondo. A stonare un poco è la filigrana sempre in bilico tra comicità e cialtroneria che ricorda lo stile ormai consunto della Marvel

“Dungeons & Dragons - L'onore dei ladri”, atto d’amore per i giochi di ruolo (e parata di cosplayer)
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Di Fabio Busi

Non pensate al fantasy d'atmosfera e in qualche modo realistico de “La Compagnia dell'Anello”. “Dungeons & Dragons - L'onore dei ladri”, diretto da Jonathan Goldstein e John Francis Daley, sembra quasi una parata di cosplayer, a confronto. E non fa nulla per evitare questo effetto, perché il suo scopo non è tanto risultare credibile come film, quanto omaggiare un mondo, una cultura, quelle migliaia di ragazzi che hanno speso e spendono intere giornate davanti a un manuale pieno di tabelle e descrizioni, fogli di carta e dadi dalle innumerevoli facce.

Baldur's Gate, Neverwinter. Sono nomi che riaccendono memorie nei giocatori di ruolo, ma soprattutto ciò che risulta intimamente legato al mondo ludico è la costruzione delle trame. Tessere che si giustappongono in modo un po' imprevedibile, caotico, pretestuoso. Capita spesso che tutta una sottotrama per raggiungere un certo obiettivo (ad esempio, ottenere un oggetto magico) si riveli ben presto inutile. È la libertà senza compromessi del gioco, che scalderà il cuore a tanti, come potrà risultare stucchevole ad altri.

Draghi grassocci, specchi che aprono portali, morti che ritornano, elmi magici, sigilli incantati. C’è di tutto e di più, compresa una combriccola simpatica di personaggi variegati, come un gioco di ruolo impone: il bardo, la guerriera, il paladino, lo stregone, il druido, il ladro, la necromante e così via. Forse, in mezzo a tanto amore per la tradizione, stona un poco la filigrana sempre in bilico tra comicità e cialtroneria che ricorda forse troppo lo stile ormai consunto della Marvel.

Un altro neo si ritrova in una certa leggerezza di fondo, che non permette di conferire la giusta enfasi e la conseguente carica emotiva ai passaggi chiave della vicenda. Banalmente, in mezzo a così tanta levità, anche le battaglie a suon di incantesimi del finale perdono un po’ di forza. In questi casi, sarebbe stato meglio recuperare le atmosfere di fantasy più cupi e intensi. Altrimenti il rischio balletto di cosplayer è dietro l'angolo.

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