“Il sol dell’avvenire”, fortissimamente Nanni Moretti
Tutti gli aspetti della vita e del cinema del regista in un labirinto di rimandi e analogie, non senza via d’uscita
di Fabio Busi
Ne “Il sol dell'avvenire” Nanni Moretti non recita, sembra piuttosto declamare ordini a voce alta, imponendo la sua rigida visione del mondo a chi gli sta intorno: la famiglia, gli attori, i produttori cinematografici. Prosegue imperterrito con le sue ossessioni (gli errori del comunismo, la dittatura), i suoi tic assurdi (e comici), le sue asprezze, i rituali, le intransigenze teoriche, la diffidenza verso i giovani, l'intellettualismo a volte snob.
La storia del regista Giovanni (e, di rimando, quella del film che sta girando) rappresenta un po' la fine di tutto, la morte artistica e sentimentale, oltre che fisica, di un uomo, ma anche di un ideale, della storia come destino progressivo. La famiglia si sta disgregando (la moglie vuole andarsene), la figlia si allontana, il cinema vive le incertezze finanziarie del tempo, persino la recitazione degli attori non gli va più bene: è troppo improvvisata, lui vorrebbe un maggiore rigore. Baci? Non se ne parla, le questioni sono politiche. La stessa utilità della settima arte è messa in discussione, per il disinteresse verso il pubblico (da parte degli autori veterani) o per una moralità vaga che svuota di senso le scene (per le nuove leve).
Il film che sta girando parla della tragedia ungherese del 1956, vista dal punto di vista di circensi magiari in trasferta in Italia. Lo snodo decisivo sta nella scelta di un segretario locale del Pci: condannare le violenze sovietiche o adeguarsi alla linea nazionale del partito? Piegarsi pragmaticamente o perseguire un sogno fatto di valori?
Moretti costruisce un labirinto di rimandi e analogie, ma mantiene un nitore notevolissimo. Tutti gli aspetti della vita e del cinema del protagonista dialogano organicamente e sembrano dirigersi pericolosamente verso il nero pesto, la fine, l'impiccagione.
Ma c'è un sole dell'avvenire che può sorgere, tutto sta nel trovare il grimaldello giusto per scardinare il pessimismo. Alla rinascita personale corrisponde un ritrovato fervore registico, che si esprime nell'utopia che sconfessa il dato storico (alla Tarantino) e nel ritorno ai sentimenti della giovinezza, in un film d'amore immaginato, sognato.