Cinema

Luci e ombre dell’esordio alla regia di Micaela Ramazzotti

“Felicità” è un buon film, limitato tuttavia dall'incapacità di dare un costrutto realmente drammatico alle premesse

Luci e ombre dell’esordio alla regia di Micaela Ramazzotti
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Di Fabio Busi

Un'umanità imperfetta, incasinata, dolente, ma capace di slanci positivi. Una felicità molto particolare e condizionata. Desirè è una donna che si arrabatta, incolta, povera d'autostima e sovrastata da problemi che tenta velleitariamente di risolvere. La figura è assai congeniale all'attrice (e regista), e anche per questo “Felicità” di Micaela Ramazzotti parte bene.

Il merito principale è quello di incastrare nei meccanismi narrativi questioni diverse, eterogenee, che sembrano soffocare la protagonista in un ordigno fatale. Un amore claudicante, segnato da uno status sociale di presunta inferiorità che la pone sempre in condizione di attesa rispetto alle scelte e alle volontà del professore algido che ne apprezza le curve, ma non tollera le incertezze e gli errori.

Un fratello anch'esso incastrato nelle logiche brutalmente materiali di una famiglia di borgata, soggiogata da un padre padrone innamorato di se stesso, cialtrone della tv che si crede artista. I debiti del genitore e le crisi del fratello (anche psichiatriche) si scaricano tutte sull'umore e sulle finanze di Desirè, vittima della sua stessa bontà.

Tra svenimenti, minacce dei creditori, goffe uscite in società, uomini porci e sogni d'amore abortiti, la protagonista sembra andare incontro alla catastrofe. Il limite del film tuttavia sta nell'incapacità di dare un costrutto realmente drammatico alle premesse, evitando vere conseguenze e preferendo stemperarle in una seconda parte in cui le figure “negative” si autocondannano attraverso siparietti buffoneschi (il padre), deragliamenti dalla realtà (la madre) o scelte fraudolente (il compagno). Vengono così isolati i due fratelli, quasi vittime incolpevoli di un sistema familiare (e nazionale) assurdo, autoreferenziale, incapace di ascolto e cura.

Sicuramente una storia che indaga questioni sociali reali, ma i ritratti caricaturali di alcune figure “buttano in vacca” il ragionamento serio sulle colpe dei padri, dei fidanzati, dello Stato. Un esordio comunque positivo, la Ramazzotti deve però imparare a essere meno spietata con i suoi nemici.

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