Per la prima volta, il maestro Ernesto Ercolani e il suo allievo Tullio Pericoli vengono messi a confronto in un percorso inedito, pensato per evidenziare affinità, lasciti e punti di contatto tra le loro ricerche. Lo permette la mostra “Ernesto Ercolani // Tullio Pericoli”, curata da Arialdo Ceribelli e Chiara Gatti, che sarà inaugurata sabato 11 ottobre alle 18 alla Galleria Ceribelli di Bergamo. L’esposizione è visitabile fino al 13 dicembre.
Il progetto nasce dal desiderio di ricostruire il filo che unisce due artisti legati non solo dalle origini marchigiane – le colline picene, Ascoli e i dintorni – ma anche da un rapporto personale nato nelle sale della Pinacoteca Civica di Ascoli Piceno. Lì Ercolani (1909-1974) lavorava come conservatore, mentre il giovane Pericoli (classe 1936) si aggirava tra le opere della collezione alla ricerca di ispirazione e di un maestro.
«Più che guardare, mi insegnò a vedere», ricorda oggi Pericoli, in un testo scritto per il catalogo della mostra, “Ernesto Ercolani, il mio maestro”, in cui rievoca gli anni di apprendistato trascorsi accanto a lui.
In esposizione oltre trenta opere di Ernesto Ercolani, provenienti da collezioni private e mai mostrate al di fuori di Ascoli Piceno, accanto ad altrettanti lavori di Pericoli. Il dialogo tra i due emerge soprattutto nei paesaggi: leggeri e trasparenti quelli dell’allievo, popolari e surreali quelli del maestro, che sapeva trasformare la realtà in fiabe di provincia.
La mostra ha anche un importante valore scientifico, perché offre un nuovo sguardo critico sull’opera di Ercolani, artista amatissimo nella sua città ma mai davvero valorizzato dopo la morte, nonostante i riconoscimenti ottenuti negli anni Quaranta e Cinquanta, tra la Quadriennale di Roma e la Biennale di Venezia. Accostare oggi i suoi dipinti a quelli, celebri, di Pericoli significa restituire al pubblico il profilo di un autore di grande profondità e raccontare la forza di un legame umano e creativo che attraversa generazioni.
Come scrive Chiara Gatti nel catalogo: «Pur respirando gli umori pungenti di una lunga genealogia, compresi gli illustratori delle riviste anarchiche della Comune di Parigi, Ernesto Ercolani vi aggiunse però un paesaggio che apparteneva intimamente soltanto a lui. Quello dell’Appennino marchigiano e della Valle del Tronto, con i suoi declivi, i campi arati, i casali e le figure della vita quotidiana, sospese tra ironia e malinconia, come in una piccola, amara arcadia».