Mann è ancora il migliore, Ferrari il suo nuovo enigma
Il regista condensa nell’anno 1957 le diverse identità di un uomo non banale, tra corse folli e sentimenti
Di Fabio Busi
Già nei primi minuti del suo nuovo film "Ferrari", Michael Mann sembra rivolgersi ai colleghi Nolan e Scott: «Guardate come si fa un biopic grandioso senza sbrodolare per tre ore». Si torna a respirare un cinema che mancava da troppo tempo, nel susseguirsi di dialoghi taglienti, montaggi alternati, adrenaliniche riprese in soggettiva a bordo di automobili rombanti, angustie sentimentali e incidenti tragici.
Tutto si tiene nell'indagine sul personaggio, che non ha bisogno di macchinosi salti temporali. L'unità di spazio e tempo viene rispettata, perché in ogni attimo c'è tutta la caratura dell'uomo, tutte le contraddizioni, tutta l'intelligenza e la lucidità, gli errori.
L'anno 1957 contiene in sé tutto quest’uomo che il regista assimila alla sua galleria di figure densamente complesse, moralmente sfuggenti, problematiche. Come il tenente Hanna di “Heat”, come il suo dirimpettaio McCauley. Non esistono eroi, ma solo enigmi, individui che inseguono una visione, un demone, una folle corsa, tralasciando o travolgendo nel percorso un po' tutto il resto.
Enzo Ferrari è il nuovo angelo caduto di Mann, un genio glaciale, ma non amorale. Forse solo troppo intelligente e cosciente per cedere alle lusinghe dei sentimenti. Ieratico, sembra porsi come immobile antagonista di entrambe le donne che in qualche modo ferisce, in verità paga silenziosamente le sue colpe, attende che i tempi siano maturi per ogni cosa. Un uomo affilato che racconta a ciascuno ciò che ha bisogno di sentirsi dire, mentre porta avanti la sua ossessione.
Un Michael Mann asciutto, distante dal commento emotivo. I fatti e i dialoghi si susseguono serrati, lasciando allo spettatore il peso dell'interpretazione. Gli esiti, a parte quelli oggettivi, sono tutti da stabilire. La scelta tra considerare Ferrari un gigante delle corse o un piccolo uomo si gioca nei dettagli. Come d'altronde ogni aspetto del suo cinema. Il regista ci fa capire che non è una questione di quantità, ma di accortezza nella scrittura. Perché ogni linea di testo può dire davvero molto.