La recensione

“Mission: Impossible”: ok, ma il bello deve ancora venire

La prima parte di “Dead Reckoning” non rivela troppo, per assicurare una parte due più succosa (nel 2024)

“Mission: Impossible”: ok, ma il bello deve ancora venire
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Di Fabio Busi

Sembra che Chris McQuarrie e Tom Cruise abbiamo deciso di superarsi per un finale coi controfiocchi. I capitoli sette e otto della saga di Ethan Hunt costituiscono l'atto conclusivo di un percorso avviato nel 1996 da Brian De Palma e proseguito con altre firme prestigiose come John Woo e J. J. Abrams. Dopo un film buono (il quinto) e uno meno buono (il sesto), tutto fa pensare a un canto del cigno. Le missioni impossibili di Hunt sono note per l'articolata costruzione di scene che intrecciano azione sempre al limite, inganni, armi segrete, pericoli vorticosi. Questa volta però la sensazione è proprio quella di una ricerca dell'effetto “instant classic”. Intrighi e scambi di identità in aeroporto ad Abu Dhabi, corse funamboliche in auto per le vie del centro di Roma, una festa malfamata e conseguenti duelli all'arma bianca sui ponti di Venezia, per concludere con una mastodontica scena sull'Orient Express che attraversa le Alpi in direzione Innsbruck.

Una sequela di personaggi riusciti, dal misterioso Gabriel che lavora per conto dell'Entità alla nuova sodale Grace, senza dimenticare Ilsa, Kittridge, la Vedovia Bianca, la tremenda Paris e i compagni di sempre Luther e Benji. La gestione dell'organico è buona, ma forse la trama si dimostra un po' debole proprio nel suo nucleo centrale: il nemico di turno, quell'intelligenza artificiale che minaccia il mondo, idea già vista almeno un decennio fa sul grande schermo. Non convincono appieno alcune premesse: se questa Entità è già online, avrebbe occhi e orecchie ovunque, ma così non sembra, o almeno non sempre (chi si ricorda, ad esempio, della serie “Person of Interest”?).

Un film poderoso, ma che paga lo scotto di non voler rivelare troppo per assicurarsi una parte due più succosa. L'effetto è quello di assistere a rocambolesche avventure, sequenze clamorose, cinema d'azione al massimo potenziale, intrighi complicati (a volte troppo), ma le questioni veramente interessanti sembrano conservate per il secondo capitolo. Un grosso preambolo da 290 milioni di dollari, un bel casino fragoroso alla ricerca di una chiave. Hitchcock ne sarebbe orgoglioso...

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