“The Creator”, l'intelligenza artificiale al centro di una guerra tra Stati Uniti e “Nuova Asia”
Gusto estetico spiccato e qualche buona trovata riescono a rinfrescare la mitologia del futuro
Di Fabio Busi
Sicuramente gli appassionati di “Blade Runner” storceranno il naso di fronte ai simulant, troppo simili ai replicanti del capolavoro di Ridley Scott. Ma “The Creator” di Gareth Edwards è questo, un film che rimescola le carte di un genere senza grandi guizzi d'innovazione, con un gusto estetico spiccato e qualche trovata che riesce a rinfrescare quella che potremmo chiamare mitologia del futuro.
Una su tutte, l'idea di declinare la questione dell'intelligenza artificiale su una dimensione geopolitica, dove Occidente e Oriente combattono le loro guerre “per procura” anche su questo versante: gli Usa danno la caccia agli androidi, la Nuova Asia li accoglie e ne fa un pilastro della sua civiltà. È interessante perché così le macchine assumono in qualche modo i connotati dei buoni selvaggi, braccati da un uomo bianco totalitario, che, a fronte di un'ambigua catastrofe nucleare, ha individuato in loro i capri espiatori.
Androidi, astronavi, circuiti e raggi laser si dipanano dunque in scenari naturali mozzafiato, oltre che nelle metropoli asiatiche sempre più futuristiche. Passato e futuro si conciliano in una visione che titilla senza sosta lo sguardo del pubblico, giocando continuamente con paesaggi e tinte cromatiche. La bambina-androide predestinata alla rivoluzione è una sorta di Cristo delle macchine, figlia di Dio (in questo caso l'uomo, il creatore Nirmata), ma “umana” in tutto e per tutto (cioè simulant, androide). Solo lei può condurre alla pace.
Non sta certo nelle citazioni (“Akira”, tra gli altri film menzionati dal regista) la pecca maggiore dell'opera. Semmai, la si trova nella sua scansione eccessivamente action (non sempre ben riuscita e credibile), troppo incentrata sulle peripezie e gli escamotage del protagonista (un umano ribelle), e poco incline alla meditazione, al dubbio, alla domanda. Edwards cerca troppe risposte e le porge gentilmente, riducendo a favola postmoderna un tema che altri avevano sviluppato soprattutto nei suoi recessi più angosciosi e oscuri. Lo stesso Villeneuve nel recente sequel di “Blade Runner” era riuscito a dare un'inflessione ben più conturbante al dilemma delle macchine senzienti, dei replicanti che si avvicinano allo status di esseri umani. Ma anche “Ex Machina” o il classico “Ghost in the Shell” aprivano interrogativi ben più ficcanti.
In fondo “The Creator” si rifà alle logiche della casa madre, la Disney, che intrattiene (a volte molto bene), fa baccano, coccola il suo pubblico. Ma non riesce davvero a turbarlo, a smuovere le coscienze. Al contrario, Edwards ci consegna un'opera pienamente aderente alle mode del momento, alla ribellione nera, al senso di rivincita che ribolle nel sud del mondo ai danni del colonizzatore bianco (che attacca dal Nomad, gigantesco drone-aquila). Un'iperbole pacifista e sociologica in fin dei conti un po' facile, e non del tutto inedita. Nel 2009 “District 9” raffigurava gli alieni come minoranza etnica, costretta a vivere nel ghetto di Johannesburg.