Veltroni: «Riparto dagli anni ‘60 per darci speranza in un tempo pesante come quello che viviamo»
Il primo segretario del Pd sarà alla ChorusLife Arena il 21 marzo con lo spettacolo “Le emozioni che abbiamo vissuto - Gli anni sessanta. Quando tutto sembrava possibile”. «Bergamo? Città molto colta e aperta»

Di Fabio Cuminetti
Un reading sul decennio in cui tutto sembrava ancora possibile. In cui tra l’altro si è passati dal bianco e nero al colore. Walter Veltroni venerdì 21 marzo (ore 21) porta alla ChorusLife Arena di Bergamo il suo “Le emozioni che abbiamo vissuto - Gli anni sessanta. Quando tutto sembrava possibile”. Scene di Angelo Lodi, accompagnamento al pianoforte di Gabriele Rossi. La prima puntata di un viaggio che arriverà fino al 2001, con le successive edizioni dello spettacolo.
Un viaggio di un ex ragazzino che amava i Beatles e i Rolling Stones. Ma anche Gianni Morandi. Perché Veltroni era piccolo, ma di quegli anni ricorda tutto: «Avevo la sensazione di un’estate permanente, era come se ci fosse un vento che ti trascinava, come un Rinascimento che creava la condizione di poter sperimentare». Un decennio che si apre con le Olimpiadi di Roma e si chiude con piazza Fontana: nel mezzo, un arco temporale in cui si guarda al futuro con un sentimento di speranza, qualcosa che forse il mondo non ha più provato con la stessa intensità.
Cosa l’ha spinta alla nascita di questo progetto teatrale?
«L’obiettivo è quello di raccontare il periodo che va dagli anni ‘60 al crollo delle torri gemelle. E quindi questa prima parte inizia con una sorta di prologo sull’Italia del dopoguerra, fatto anche attraverso il racconto personale della mia famiglia, di quello che è accaduto. E poi ci immergiamo in quel decennio incredibile attraverso video, musica, oggetti e parole».
Un racconto in “soggettiva”, insomma.
«Guardi, io sono sempre stato convinto, qualsiasi cosa abbia fatto nella vita, che la memoria fosse importante. D’altra parte, se lei toglie a un computer la memoria, è un ferrovecchio e noi stiamo diventando dei ferrivecchi perché rimuoviamo la coscienza, la memoria del passato e quindi anche la speranza del futuro. Ripartire dagli anni ‘60 raccontati dal mio punto di vita non mi sembra un esercizio utile solo a riportare la memoria a quel tempo, ma anche un modo per darci speranza in un tempo pesante come quello che viviamo. Perché in fondo, 15 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, dopo che l’Italia era un cumulo di macerie, a Roma si sono inaugurate le Olimpiadi, quindi è la dimostrazione che i tunnel finiscono».
Quanto, secondo lei, l’energia degli anni ‘60 è riuscita ad arrivare fino a oggi?
«In moltissimi casi. La legge sul divorzio, la legge sull’aborto, il voto a 18 anni, la fine della leva obbligatoria; e poi, su scala mondiale, la fine della segregazione razziale negli Stati Uniti, la fine dei regimi dittatoriali sia in Europa, Grecia, Spagna e Portogallo, sia nei Paesi dell’Est con la caduta del muro di Berlino. Enormi libertà sono state conquistate nel corso del tempo: i fermenti degli anni 60 hanno generato grandi cambiamenti».
Quanto, invece, è andato vanificato?
«Quell’energia che scaturiva dai Beatles, da Salinger, dal ‘68, dalla musica, dal teatro, dal cinema, dalla vita dei ragazzi che improvvisamente riconoscevano di essere un tutto unico, quell’energia si è infranta contro il muro del potere. Nel ‘68 vengono uccisi Martin Luther King e John Fitzgerald Kennedy, nel ‘69 in Italia scoppiano le bombe di Piazza Fontana, quindi per fermare quel moto si è dovuto far ricorso alla morte, all’assassinio».
Ecco, Kennedy. Oggi invece abbiamo un Trump estremamente combattivo, in questo secondo mandato. Cosa ne verrà fuori?
«Secondo me l’obiettivo di Trump, e non solo il suo, è la messa in discussione della democrazia come strumento di governo delle comunità, a favore di un'autocrazia più o meno feroce, ma comunque di un’autocrazia, cioè del potere di uno che prescinde dal potere del resto. Non è un fenomeno nuovo nella storia, anche se la storia non si ripete mai allo stesso modo. Però in certi momenti, di fronte a crisi drammatiche come quelle che stiamo vivendo, tendono a farsi strada queste successioni autocratiche. Ora la sfida è questa: se si dovrà accettare che il nuovo millennio sia segnato dalla riduzione dei cittadini a follower e del potere alla firma di un imperatore, o se invece si continuerà a considerare la democrazia - che pure ovviamente deve tener conto dei cambiamenti del tempo - come lo strumento migliore».
Che rapporto ha con Bergamo?
«Penso sia una città molto colta, molto aperta, in cui le tradizioni della sinistra e quelle del solidarismo cattolico si sono felicemente incontrate. È una città che ha una grande forza e che ha saputo reagire anche alle ultime tragedie come quella del Covid con una dignità enorme, che ha espresso dei sindaci - mi riferisco soprattutto a Gori e Carnevali – di altissimo libello. Poi personalmente ho un sacco di amici a Bergamo, a cominciare da Nando Pagnoncelli fino a Gian Piero Gasperini, che è una persona che stimo e apprezzo molto».
Sindaci di altissimo livello Gori e Carnevali? Veltroni mediocre politico e improbabile artista è però un fine umorista.