"1992", benvenuti a Tangentopoli La nuova affascinante serie tv Sky
Tutto comincia a Milano il 17 febbraio, con il primo arresto della maxi inchiesta denominata Mani Pulite: quello di Mario Chiesa, che segna l’inizio di Tangentopoli. È il 1992. L'anno che questa serie vuole raccontare. Intrecci, intercettazioni, tradimenti, sesso, criminalità in giacca e cravatta, soldi facili. Circola un mare di denaro, sembra tutto a portata di mano. Scorrono le prime scene, scattano le manette per Mario Chiesa, presidente di un ente comunale di assistenza agli anziani, il Pio Albergo Trivulzio. È la scintilla che genera il Big Bang, è l’inizio di Tangentopoli ed è anche la scena su cui si apre 1992, la serie in dieci episodi che debutterà in contemporanea Sky in cinque Paesi (Italia, Germania, Austria, Regno Unito e Irlanda) il 24 marzo. Peraltro molto ben accolta a Berlino e dalla stampa internazionale che l’ha vista in anteprima. L’Hollywood Reporter ha definito «avvincente» il primo episodio, mentre la Frankfurter Allgemeine scrive: «Raramente un Paese ha il coraggio di guardarsi allo specchio come in questo caso». Tant’è che a scatola chiusa già 28 Paesi stranieri hanno acquistato i diritti.
Il progetto nasce da un'idea di Stefano Accorsi, che in questo romanzo si ritaglia il ruolo di Leonardo Notte, un uomo di marketing dal misterioso passato (un Don Draper all’italiana) che proprio nel ‘92 deve cogliere la sua occasione di vita. In una ragnatela fitta in cui il destino di corrotti e corruttori s'intreccia («Segui i soldi, troverai la mafia» diceva il giudice Falcone), Tangentopoli è vista dalla stanza dell'agente Pastore (Domenico Diele) che lavora con Di Pietro (Antonio Gerardi): indaga e finisce per innamorarsi di Bibi Mainaghi (Tea Falco), figlia di un imprenditore inquisito. Pietro Bosco (Guido Caprino), reduce della prima guerra del Golfo, si ritrova eletto alla Camera con la Lega Nord. Mentre impara l'arte del potere da un vecchio democristiano, incontra Veronica (Miriam Leone), soubrette travolta dal crollo della Prima Repubblica in cerca di nuova gloria televisiva.
Un affresco d’epoca, realizzato attraverso una ricostruzione quasi maniacale di gusti, colori, abiti, stili di vita di quegli anni di crisi, in cui interagiscono personaggi immaginari con i protagonisti e le persone che il 1992 portò alla ribalta della cronaca, presentati adesso, grazie a una scelta coraggiosa quanto inedita, con i loro veri nomi e cognomi: Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo, Giovanni Falcone, ma anche il leader referendario Mario Segni, il leghista Formentini, Umberto Bossi rivivono nell’interpretazione di attori che sullo sfondo ne riconsegnano i modi, il linguaggio, in alcuni casi persino le esatte frasi, oltre all’aspetto. Sullo sfondo appare anche Silvio Berlusconi, con due suoi discorsi pubblici in cui parlò del futuro dell’Italia.
Storie di personaggi di fantasia intrecciate a cronaca, a fatti realmente accaduti, in cui la realtà è miscelata sulla finzione, in equilibrio tra il realismo della messinscena e la ricostruzione di un’epoca poco esplorata. Tutto intorno, si snodano i momenti chiave di quell’anno: le inchieste sempre più incalzanti, il crollo dell’impunità di politici e imprenditori, le logiche che avevano regolato quel mondo. L’effetto nostalgia dato dalla valanga di spot elettorali, spezzoni televisivi e dettagli d’epoca è fortissimo, anche se, sullo schermo, tutto è più cool di quanto non sia stato nella realtà (basta fare il gioco delle differenze tra il Di Pietro sullo schermo e quello della realtà), ma è una necessaria trasfigurazione da verità a mitologia.
Un lavoro ispirato al modello narrativo di American Tabloid in cui gli sceneggiatori sono anche i creatori della serie, coinvolti non solo in fase di ideazione e scrittura ma sin dalla preparazione, fino alle riprese e al montaggio. Una sfida cinematografica durata tre anni. 21 settimane di riprese per 109 giorni complessivi di set, un cast di 156 attori e oltre 3mila comparse coinvolte, quasi 100 le location utilizzate per ricostruire il racconto di quell’anno cruciale, tra cui spiccano il Parlamento, il Pirellone e Villa Fendi. Così, dopo la Roma della banda della Magliana e la Napoli di Gomorra adesso l’Italia potrà rendere omaggio alla Milano di Tangentopoli. In questo autoritratto di un Paese che pesca nel profondo e nel rimosso. Perché a volte, tutto deve cambiare, perché tutto rimanga com’è.