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Il film da vedere nel weekend "Fury": uomini, nonostante la guerra

Il film da vedere nel weekend "Fury": uomini, nonostante la guerra
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Regia: David Ayer.
Con: Brad PittShia LaBeoufLogan LermanMichael PeñaJon BernthalJason Isaacs, Scott Eastwood, Jim Parrack, Brad William Henke, Jonathan Bailey, Branko Tomovic, Marek Oravec, James Henri, Laurence Spellman, Kevin Vance, Adam Ganne, Sam Allen.
Dove vederlo a Bergamo e provincia: qui.

 

I traumi della storia sono un soggetto difficile per il cinema. Complesso è parlare di ciò che è accaduto senza essere didascalici, senza voler insegnare per forza una morale, senza cercare di spiegare a tutti i costi degli eventi che spesso e volentieri senso non hanno. Lo sanno molto bene numerosi registi americani, impegnati a ragionare attraverso il cinema sul modo di rappresentare i conflitti armati: gli Stati Uniti sono stati protagonisti di numerose guerre, spesso aspramente criticate, e questo ha consentito al loro cinema di occuparsi della questione con particolare intensità (da La sottile linea rossa di Malick al recentissimo American Sniper di Eastwood).

David Ayer (già conosciuto al grande pubblico soprattutto per Fast and Furious) ci riporta ai tempi della seconda guerra mondiale, al tragico epilogo del 1945 che tanto ha fatto scrivere storici, filosofi e sceneggiatori. La Germania è al collasso ma la guerra prosegue imperterrita: protagonista ne è, fra gli altri, il sergente Don Collier che, scampato al deserto del nord Africa, è chiamato a comandare un drappello di soldati di diversa indole ed origine. Nascosto all’interno di un carro armato con i suoi uomini, Collier è infiltrato dietro le linee nemiche e, mentre fuori dal suo mondo corazzato infuriano gli ultimi episodi del conflitto, il sergente prende sotto la sua ala un nuovo tiratore scelto, che istruisce come un figlio sui modi di condurre la guerra.

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Saranno anche passati più di cinquant’anni dalla resa del Reich, ma la seconda guerra mondiale è ancora oggi una ferita aperta per gli americani così come per gli europei. Non è un caso se il cinema se ne è occupato in maniera così massiccia. Un esempio ne è l’amato film di Steven Spielberg Salvate il sodato Ryan, il cui favore presso la critica è però progressivamente venuto meno. L’opera del regista è stata comunque ampiamente innovativa, perché ha cominciato a rappresentare la guerra per ciò che realmente è: un gioco al massacro inutile che non risparmia allo spettatore corpi squartati e mutilazioni di vario genere. Realismo prima di tutto, in una pellicola che si presenta quasi come un reportage giornalistico.

Il film di Ayer riparte da qui, recuperando in parte lo stile espresso da Spielberg e presentandosi come un prodotto interessante all’interno di un genere che abbiamo già definito sempreverde. Non sarà un caso, forse, che il regista sia un ex marine che ha maturato esperienza diretta sul campo. La novità più interessante però è la dimensione chiusa che si respira all’interno del carro: la macchina diventa in questo modo l’oggetto che dà senso alla vicenda e all’esterno del quale c’è un mondo inumano e visto solo di sfuggita. È un po’ come il rapporto fra mente e corpo, con la prima che agisce dall’interno per regolare i comportamenti violenti dell’uomo-soldato impegnato in azioni belliche.

A dar forza al film non è tanto la retorica trionfale della missione giusta portata avanti dagli Alleati liberatori ma, piuttosto, il rapporto fra i protagonisti che – chiusi all’interno del carro – non possono che rendere palesi le loro storie, i loro desideri, le proprie speranze. Il lavoro di Ayer funziona perché si basa non sull’azione ma sulla riflessione, portata avanti attraverso la lettura delle biografie dei singoli personaggi, raccontate senza retorica bensì con un’ottica quasi documentaristica. Un ottimo risultato, considerando che nello spinoso terreno della Seconda Guerra Mondiale il rischio della morale è dietro l’angolo.

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