Sabato 30 l'incontro con l'artista

La mostra di Arcabas in Città Alta La bellezza, con lo zampino di Dio

La mostra di Arcabas in Città Alta La bellezza, con lo zampino di Dio
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Arcabas conserva nello sguardo la purezza di un fanciullo, lo stupore per la visione delle meraviglie del Creato, quello stesso stupore che ha sempre voluto trasmettere nelle sue abbaglianti opere. Jean Marie Pirot, questo è il suo vero nome, è a Bergamo in questi giorni per presentare la mostra Arcabas, nutrire il mondo con la bellezza, organizzata dal gruppo Aeper, realtà che da decenni ormai ha un legame profondo con l’artista francese.

La mostra è aperta dal 28 marzo al 28 giugno presso la Chiesa di Sant’Agata nel Carmine, in Città Alta. Vanta quaranta opere dell’artista, provenienti da diversi periodi della sua lunghissima carriera, e ha ricevuto in questi primi due mesi una risposta entusiasta da parte del pubblico: don Emilio Brozzoni, fondatore di Aeper, ci informa che «la mostra ha visto finora 80mila presenze; è commovente che così tante persone abbiano voluto partecipare all’iniziativa». Sabato 30 maggio alle 20.45 ci sarà l’incontro con l’artista, introdotto dal professore Ivo Lizzola, proprio nel contesto dell’esposizione.

[Arcabas e la moglie Jaqueline alla Domus Bergamo]

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La bellezza. Al centro dell’opera dell’artista e delle attività del gruppo Aeper c’è la bellezza della figura umana. Questo concetto fondante viene affrontato da un duplice punto di vista. Aeper lavora per garantire un aiuto e un conforto alle persone meno fortunate, Arcabas individua la bellezza del mondo e la traduce in forme artistiche che mirano parimenti a ritrovare la gioia della vita. «La bellezza può cambiare e salvare il mondo, ci vuole tempo, ma essa è un elemento primordiale del vivere di ognuno, necessario a dare valore alla speranza». Per Arcabas la bellezza, la verità e la bontà sono elementi trascendentali; «nel mondo d’oggi sono difficili da comprendere, ma sono necessari per apprezzare la vita». Di questi, è la bellezza ad essere maggiormente trascurata e sottovalutata: qui si inserisce la missione dell’artista, che per primo si mette in gioco nel ricercarla e donarla a tutti. Anche don Brozzoni insiste su questa lettura: «la mostra è un dono alla città di Bergamo per raccontare il cuore di questa esperienza artistica e umana».

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L’ispirazione (divina) e la modestia. Questo splendido 89enne mantiene un rapporto di stupore e fiducia ascetica nei confronti di tutto ciò che lo circonda. Anche di se stesso non sa dire molto: «Non so rispondere quando mi si chiede cosa faccio. Disegno ciò che vedo, dettagli apparentemente ingiustificati, oppure idee che mi balenano in mente, o ancora idee fisse che mi porto dietro da 40 o 60 anni». Quando don Brozzoni riconosce in lui una figura di riferimento nella ricerca della bellezza della figura umana, Arcabas si schermisce come un fanciullo timido: «È troppo per me».

Alla base di questo atteggiamento di umiltà sta la convinzione che egli sia solo un tramite, un messaggero che consegna lettere provenienti da una dimensione altra, dalla sfera del divino. Molte opere non sono firmate perché non le sente sue, ma realizzate dagli angeli che vivono con lui e la moglie Jaqueline. Questo rapporto ravvicinato con il divino lo ha portato a prediligere l’arte sacra: «ma non è stata una scelta pensata, la mia arte è frutto della vocazione a ricercare la bellezza nella creazione di Dio». Creando dipinti, nel suo piccolo Arcabas riproduce l’atto della creazione divina; le meraviglie del cosmo rivivono sulla tela, in un processo di visione e riproduzione alimentato dalla spiritualità, non dal raziocinio.

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Il tempo polverizzato. Discutendo dei suoi vari, numerosissimi dipinti (la sua riserva privata ne conta 300) emerge un’interpretazione del tempo assai personale. Per Arcabas il tempo è polverizzato, lo scorrere degli anni non si estende in un percorso ben definito e differenziato. Ogni istante coesiste in un presente perenne, è l’unità assoluta delle dimensioni che si risolvono totalmente in Dio. Da notare la consonanza con il credo del T. S. Eliot maturo, quello dei Four Quartets.

Ponendosi in questa prospettiva, le opere di epoche distanti si accomunano in una visione sempre attuale. Spesso Arcabas ha dipinto opere, le ha accantonate, e le ha poi riscoperte 50 anni dopo, stupendosi della giustezza della sua arte, della perfetta omogeneità del suo credo. Ad esempio il polittico Hommage a Bernanos fu dipinto nel 1963 come scenografia dello spettacolo teatrale Diario di un curato di campagna (di Bernanos, appunto) e poi riposto in magazzino: ritrovandolo oggi l’artista si è stupito di se stesso. Il processo ciclico di scoperta e riscoperta del mondo si applica anche alla sua stessa arte.

In altri casi gli capita di riguardare sue opere dopo decenni e rivisitarle, aggiungendo e togliendo. O ancora, opere ritenute non complete si rivelano perfette così come sono magari a decenni di distanza. Queste abitudini creano non pochi problemi ai critici che vorrebbero scandire un percorso cronologico rigoroso, ma per Arcabas il tempo è polverizzato.

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