Da Romano di Lombardia a...

Passione, morte e Risurrezione in quattro capolavori del Moroni

Passione, morte e Risurrezione in quattro capolavori del Moroni
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La prima tappa di questa passione secondo Moroni è a Romano di Lombardia: qui è custodito uno dei suoi capolavori, l’Ultima Cena, che venne commissionata all’artista di Albino il 27 dicembre 1565 dalla locale Confraternita del Santissimo Sacramento. Tre anni dopo, la grande tela (è alta quasi tre metri) viaggiò dallo studio alla chiesa per essere posta sull’altare della cappella del Corpus Domini. Si narra che Moroni non si scomodò per l’inaugurazione, perché doveva star dietro alle tantissime commissioni. Eppure anche lui sapeva di aver realizzato un quadro sopra la media dei suoi, che qualche anno dopo sarebbe stato apprezzato anche da San Carlo, di passaggio a Romano per le sue visite pastorali.

Ultima Cena bergamasca, Romano di Lombardia. Moroni di Palestina non sapeva moltissimo, così scelse di ambientare l’Ultima Cena in un palazzotto bergamasco con tanto di archi e colonne. Insomma una cosa immaginata in modo da renderla credibile a chi l’avrebbe ammirata. Dato che lo spazio assegnatogli era verticale, si trovò a reinventare la disposizione a tavola degli apostoli: facile disporli tutti in fila come nei classici Cenacoli, più complicati stringerli in prospettiva in uno spazio che si sviluppa poco in larghezza: uno di loro, sulla sinistra del quadro e quasi in ombra sembra addirittura essere restato in piedi. Di spalle, in giallo, e con il maledetto sacchetto di monete ricevute in cambio del tradimento, c’è Giuda. Ma su tutti, in questo quadro, domina una figura che non c’entra: è l’oste che si stacca dal contesto, perché sta in piedi, vestito con sobria eleganza di nero e con il tovagliolo sulla spalla. Non sappiamo chi sia, ma nella precisione dei tratti somatici si riconosce lo stile proprio di un ritratto, genere in cui Moroni era imbattibile: ritratto di chi aveva pagato il quadro e quindi aveva chiesto di essere immortalato sulla scena.

 

 

La salita al Calvario, Albino. Compiuto il tradimento, passato a processo, Gesù viene condannato a morte: Giambattista Moroni ne immagina la drammatica salita al Calvario in un’altra tela indimenticabile che oggi è conservata ad Albino nel piccolo santuario della Madonna del Pianto. È un Cristo solitario, carico del pesante fardello della croce, ancora una volta immaginato in loco. Cammina in un paesaggio e sotto un cielo ben famigliari, in continuità con l’aspetto che la Val Seriana ha, appena fuori dalla chiesa. La solitudine di Gesù ha qualcosa di straziante, ancor più del suo faticare e piegarsi sotto la croce. Vien voglia si seguirlo, di aiutarlo, di esser lì con lui... L’altro particolare che colpisce al cuore è il colore del suo mantello sul quale scrisse parole commosse Giovanni Testori, decantando questo quadro sulle colonne del Corriere della Sera: «Cristo è vestito di quell’incredibile lanetta rosa-arancio, quasi che addobbandolo in quel modo gli albinesi volessero renderlo meno “risibile”; certo infinitamente onorarlo, amarlo e riconoscerlo come loro re».

La Crocifissione, Albino. Gesù sale verso il proprio martirio. Il cielo si fa cupo, denso di tempesta nella Crocifissione che Moroni dipinge per la chiesa più importante di Albino, quella di San Giuliano. Un’altra volta Moroni non...»

 

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