A Bergamo solo il 57 per cento delle donne lavorano (e guadagnano meno degli uomini)
Al consiglio generale, la Fim-Cisl della nostra provincia mette al centro le lavoratrici femmine. Ecco la situazione

«Ma di cosa hanno effettivamente bisogno le donne?»: questa è la domanda che la Fim-Cisl di Bergamo si è posta oggi (venerdì 10 giugno), in sede di Consiglio generale. Cinque le possibili risposte sulle quali riflettere: percorsi di carriera, diminuzione del peso degli stereotipi di genere, allargamento della conciliazione vita-lavoro, salute e sicurezza con attenzione alle differenze di genere, abolizione delle differenze salariali e maggiore rappresentanza.
A Bergamo, solo il 57 per cento delle donne lavorano: il 24 per cento sono occupate nell’industria in senso stretto, il 22, 27 per cento in istruzione, sanità e servizi e il 14,54 per cento nel commercio.
Elena Scippa, della segreteria provinciale Fim-Cisl, sollecita alla riflessione: «Nella nostra provincia, ci sono donne anche nei reparti di produzione delle fabbriche metalmeccaniche, e se è vero che ce ne sono di meno forse è arrivato il momento di indagarne i motivi». Teresa Cubello, operatrice Fim a Bergamo con delega al coordinamento femminile, aggiunge: «Dobbiamo pensare a progetti specifici per la parte femminile del mondo metalmeccanico formazione specifica per superare stereotipi, iniziative di sensibilizzazione contro molestie e violenza, e intese con istituzioni per un tavolo di contrattazione sociale e territoriale per il welfare. Il divario retributivo di genere costa all’Italia l’otto per cento di Pil ogni anno, perché colpisce tutto il sistema».
I dati presentati da Fim Cisl mostrano come, per le donne che lavora nell'industria, la retribuzione netta oraria sia inferiore del 5,71 per cento rispetto a quella degli uomini; la percentuale si alza notevolmente se si guarda la retribuzione mensile, arrivando a toccare una differenza del venti per cento e questo aumento è legato soprattutto all’alto tasso del part time tra le donne.
Scippa sottolinea: «Non è detto che si debba scegliere tra carriera e famiglia, o perlomeno non in maniera perentoria. Il lavoro agile lo dimostra: quando si riesce a lavorare per obiettivi, laddove lo si capisce per lo meno e le aziende che lo hanno capito sono molto poche, si può “conciliare”. Ma conciliare non basta, perché come dicevamo all’inizio non si parte tutti dallo stesso punto per arrivare al traguardo e non ci si arriva attraverso percorsi lineari. Quello che ci serve è lavorare tutti insieme per rimuovere i maggiori ostacoli».
Il sindacato Fim-Cisl ha portato avanti un lavoro di contrattazione nelle fabbriche bergamasche, arrivando a raggiungere, tra il 2016 e il 2021, risultati positivi in 43 aziende interessate, stilando in totale 52 accordi di conciliazione, introducendo permessi aggiuntivi, creando commissioni ad hoc, offrendo formazione dedicata al rientro dalla maternità e smart working per la nascita di un figlio.
Le storie di lavoro metalmeccanico al femminile, così come raccontate nella tavola rotonda alla quale hanno preso parte quattro delegate di grandi aziende, parlano di ritorsioni e “ricatti” sulla difficoltà della conciliazione tra tempo di lavoro e tempi di cura famigliare, demansionamenti legati a pregiudizi di genere.