Piccole stalle muoiono

Lettera amara alla Coldiretti sul prezzo del latte (ma le vacche sono scappate dalla stalla)

Signor presidente, ormai è tardi per i piccoli. La non adeguata remunerazione degli allevatori ha condizionato e condiziona la vita di tante famiglie

Lettera amara alla Coldiretti sul prezzo del latte (ma le vacche sono scappate dalla stalla)
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di Lorenzo Milesi

È suggestivo questo tentativo di chiudere la stalla, quando ormai... le vacche sono scappate. E mi riferisco alle parole pur condivisibili di Ettore Prandini, presidente della Coldiretti. «È necessario che nei contratti di fornitura fra le industrie di trasformazione e gli allevatori siano concordati compensi equi - ha affermato - perché a fronte dei rincari delle materie prime alla base dell’alimentazione degli animali è fondamentale assicurare la sostenibilità finanziaria degli allevamenti, sottraendoli al rischio di chiusura a causa di prezzi sotto i costi di produzione».

Il presidente afferma inoltre che un’adeguata remunerazione del lavoro degli allevatori «è condizione imprescindibile per mettere al sicuro tutta la filiera e continuare a garantire ai consumatori prodotti sicuri e di qualità che sostengono l’economia, il lavoro e i territori italiani».

Signor presidente, ormai è tardi per le piccole stalle. La non adeguata remunerazione degli allevatori, per usare le sue parole, ha condizionato e condiziona la vita quotidiana di quelle famiglie che per la passione di un padre, per la vocazione generazionale di una terra (come la Val Brembana), o magari per un semplice concatenarsi di situazioni si sono trovate a fare i contadini, i mandriani. Quel lavoro non adeguatamente pagato in questi decenni ha segnato i giorni di persone come me, mio fratello, i miei zii. Perché per sopravvivere tutti devono darsi una mano, il trattore del 1978 non può essere mandato in pensione, bisogna continuamente ripararlo.

I figli devono crescere in fretta per dare una mano ai padri, e i momenti di studio o lavoro (da ragazzi prima e da uomini poi) sono sempre intervallati dalle corse in fattoria per aiutare il genitore ormai non più giovane. Le sue parole, presidente Prandini, suonano beffarde per migliaia di bergamini con pochi capi e pochi terreni, che ogni giorno hanno guardato in su, verso il cielo, chiedendosi come fosse possibile che una simile ingiustizia continuasse imperterrita, uno scandalo alla luce del sole.

Mio padre come molti altri allevatori ha pagato per quindici anni le rate della multa per le quote latte, poi qualche tempo fa dall'oggi al domani quella stessa quota latte è stata cancellata, con un colpo di spugna. Che senso aveva? Per vent'anni almeno, allevatori come mio padre hanno stretto la cinghia, sono invecchiati nel risentimento e nella fatica senza riscatto. Ormai quella generazione è al tramonto, e noi figli ci siamo costruiti altre strade. Non c’è più un futuro da salvare, per questo mestiere. Chissà, forse questo tavolo di confronto con il ministro Patuanelli porterà a qualcosa. Forse otterremo qualche centesimo in più, da 37,5 a 40? O addirittura cinquanta centesimi? Non sembra una prospettiva realistica, a meno di vedere dei conseguenti rincari anche sui costi finali al consumatore.

Ma se anche fosse, le ricordo presidente che nel 1992-93 il latte ci veniva pagato circa 920-930 lire, che basta cercare su internet per capire quanto varrebbero nei giorni nostri: circa 80 centesimi. Ma a oggi ce lo pagano ancora 37,5 centesimi (c’è stato un recente aumento di 2,5). Questo semplice confronto fa capire le proporzioni dell’attuale squilibrio. Siamo a meno della metà di quanto venisse pagato il latte trent’anni fa, rispetto al potere d’acquisto. Se a tutto questo si aggiungono i rincari da pandemia, ecco spiegato il suo appello, presidente. È un grido di disperazione, l’ultimo (probabilmente vano) tentativo di salvare una barca destinata ad affondare. Diverso il discorso per i grandi allevamenti con migliaia di capi, ovviamente.

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