Se il pane è più caro non è colpa della guerra (è pura speculazione dei mercati)
Ad aprile sono previsti nuovi rincari: +20% sul 2021. I panificatori: «Non ci saranno scaffali vuoti. Il problema sono le bollette»
di Andrea Rossetti
Una decina di giorni fa, un lettore ha scritto in Redazione: «Perché non dite che presto non ci sarà più né pane né pasta? Il panettiere mi ha suggerito di fare scorta di farina perché da aprile la situazione sarà drammatica». Una tesi rafforzata dall’allarmistico appello lanciato a inizio marzo da Coldiretti in occasione della Fieragricola di Verona: il rischio è di trovarsi presto con scaffali deserti e carestie. Entro Pasqua, ha aggiunto l’associazione, le scorte di grano si esauriranno.
La guerra c’entra poco
«Sinceramente, la situazione non è così drammatica. Purtroppo, come spesso accade in quest’epoca fortemente mediaticizzata, basta una foto o una dichiarazione per scatenare il panico», commenta Roberto Marchesi, titolare dello storico Panificio Marchesi di Bergamo, tre negozi (in Borgo Palazzo, Piazza Pontida e Boccaleone) e un laboratorio di panificazione. «Che i costi siano aumentati è indubbio - continua -, ma da qui a dire che mancherà il pane ce ne vuole. Noi, al momento, non abbiamo previsto alcun aumento. Nonostante questo, capita che dei clienti dicano: “Eh, ormai anche un chilo di pane è un bene di lusso...”. Inutile fargli notare che, semplicemente, hanno preso più pane. Le persone sono condizionate da quel che sentono e che leggono. La guerra in Ucraina ha acuito tutto questo. In realtà, sul pane pesa soprattutto il costo del lavoro. L’aumento del costo dell’energia, ad esempio, è un problema serio. Passare da seicento euro a duemila di spesa è una mazzata. Questo sì che è un problema: se gli aumenti dovessero perdurare, per forza ci saranno delle conseguenze. Ma la guerra c’entra poco».
È tutta speculazione
Della stessa opinione è anche Giuseppe Minuscoli, panificatore e con la moglie Silvia titolare di un’azienda diventata negli anni un’istituzione in Val Seriana (e non solo), con ben undici punti vendita e un laboratorio di panificazione a Clusone. Un’attività che dà lavoro a circa novanta persone, di cui diciassette soltanto nella produzione. «Il pane c’è, così come la farina - chiarisce subito -. Ma è vero che è aumentato tutto. Noi abbiamo fatto un primo aumento del dieci per cento a inizio anno e ad aprile aumenteremo nuovamente i prezzi di un altro dieci per cento. Abbiamo ridotto per quanto possibile i nostri margini, ma la farina di grano duro è praticamente raddoppiata, la farina bianca è aumentata del venti per cento, così come il prezzo del burro. Per non dire di carburante ed energia. Le ultime bollette sono state pesanti. Però non c’è alcun problema di approvvigionamenti. La farina c’è, costa semplicemente di più. Tutto questo, ovviamente, influisce anche sul prezzo che proponiamo al consumatore finale, sebbene si tratti di aumenti compresi nell’ordine di pochi centesimi di euro. Se c’entra la guerra? La guerra c’è da un mese, non c’entra niente. È tutta speculazione».
Se ci mettiamo pure la siccità...
Un quadro un po’ più completo della situazione lo dipinge Massimo Ferrandi, presidente provinciale di Aspan (Associazione panificatori) e titolare dell’omonimo panificio a Treviglio: «Affermare che la guerra sia la causa dei rincari è scorretto. E confermo che la speculazione stia influendo in modo pesante. Il ministro Cingolani ha detto che l’aumento del prezzo dei carburanti è “una truffa”, giusto? Ecco, si potrebbe dire lo stesso per quel che riguarda la farina. (...)