Oltre i numeri

Tutti contro e invece... Il reddito di cittadinanza qui da noi funziona bene

Il suo scopo non è solo aiutare a cercare un lavoro, ma combattere fragilità e povertà. E in questo la nostra provincia è diventata un modello

Tutti contro e invece... Il reddito di cittadinanza qui da noi funziona bene
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di Andrea Rossetti

Com'era prevedibile, la trionfalistica dichiarazione dell’oggi ministro degli Esteri Luigi Di Maio («Abbiamo abolito la povertà») dopo l’approvazione del Reddito di Cittadinanza, con tanto di esultanza dal balcone di Palazzo Chigi, è passata agli annali come uno dei più grotteschi momenti della politica recente. A distanza di quasi tre anni da quella istantanea (era la fine di settembre 2018) e a due anni e mezzo dall’entrata in vigore del Reddito (aprile 2019), la misura non si può certo dire che abbia abolito la povertà. Anzi, complice anche la pandemia le condizioni economiche di molti italiani sono sensibilmente peggiorate.

Non è un caso, dunque, che la politica nazionale, ciclicamente, torni a discutere della giustezza o meno del Reddito, accompagnata da accalorati dibattiti sui media. Che spesso, però, sono guidati più dall'ideologia che dai fatti. In provincia di Bergamo, ad esempio, sarebbe sbagliato dire che la misura non stia funzionando. Pur con tutti i suoi limiti, infatti, gli effetti positivi che il Reddito sta avendo su una determinata fascia di popolazione sono evidenti. Solo che questi effetti non traspaiono in modo chiaro se ci si limita a una mera analisi numerica.

A cosa serve?

Innanzitutto, la prima cosa da chiarire è che il Reddito di Cittadinanza non è una misura economica destinata solo e soltanto alle politiche attive del lavoro: in primis, è una misura di contrasto alla povertà, di supporto sociale. Lo dimostra il fatto che circa la metà delle domande di accesso approvate dall’Inps in Bergamasca non vengono date in gestione ai Centri per l’Impiego, bensì ai Servizi sociali dei Comuni. Nella nostra provincia, i Centri per l’Impiego (sono dieci: Albino, Bergamo, Clusone, Grumello del Monte, Lovere, Ponte San Pietro, Romano di Lombardia, Trescore, Treviglio e Zogno), stando al report del 12 agosto, “seguono” 8.886 beneficiari, i quali intascano mediamente 506 euro al mese (fonte Inps). Un dato inferiore alla media nazionale di 548,59 euro.

Gli esclusi e gli esonerati

Ciò significa che ci sono circa novemila persone, nella nostra provincia, che ricevono oggi il Reddito di Cittadinanza e che cercano lavoro? Non proprio. Innanzitutto, a differenza della Naspi (l’indennità mensile di disoccupazione), il Reddito non è assegnato al singolo, bensì al nucleo familiare. Inoltre, tra i beneficiari molti sono esclusi o esonerati. Tra i primi, rientrano le persone che hanno più di 65 anni o meno di 18 anni, ma anche chi ha un’occupazione che procura un reddito annuo di almeno ottomila euro; tra i secondi, invece, rientrano quelli che, ad esempio, hanno a carico soggetti disabili o figli piccoli. Questi nuclei, dunque, hanno diritto al Reddito (fino a un massimo di 780 euro al mese) ma non sono “obbligati” a cercare un’occupazione. Stando ai dati del 12 agosto, in Bergamasca sono 2.553. Il numero dei beneficiari in cerca di occupazione, dunque, scende così a meno di 6.500.

Bergamo, un modello

Il personale dei Centri per l’Impiego ha incontrato tutti loro, ha instaurato un rapporto con il fine ultimo, teoricamente, di aiutarli e trovare loro un’occupazione. Ma è proprio nella fase di “conoscenza” che vengono a galla i problemi: la maggior parte di queste persone ha livelli di istruzione molto bassi, nessuna esperienza pregressa, nessuna qualifica o competenza digitale (anche minima). Insomma, profili il cui inserimento nel mercato del lavoro è quasi impossibile. Per questo i Centri per l’Impiego prevedono percorsi paralleli alla ricezione del Reddito: attività di formazione, di sostegno scolastico, tirocini per l’inclusione sociale, corsi di italiano. Questo tipo di lavoro, in Bergamasca, sta avendo ottimi risultati grazie alla stretta collaborazione che si è instaurata tra i Centri, i Comuni e gli enti del Terzo settore.

Una collaborazione per certi versi unica in Italia, diventata un modello regionale, e che ha permesso di dare piena attuazione ai cosiddetti “Progetti utili alla collettività” (Puc) effettivamente previsti dalla legge sul Reddito, ma a livello nazionale scarsamente considerati. Si tratta di progetti, realizzati dai Comuni in collaborazione con gli enti del Terzo settore, tesi a impiegare i beneficiari del Reddito in attesa di trovare un’occupazione. In provincia, sono ben 102 i Comuni che si sono attivati per realizzare uno o più Puc.

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