Le prime fioriture

Orto Botanico, risveglio di primavera A partire dagli ellebori (velenosi)

Orto Botanico, risveglio di primavera A partire dagli ellebori (velenosi)
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Basta qualche piccolo raggio di sole e caparbiamente le primule e gli ellebori si fanno strada e mettono in mostra le loro corolle. Già verso la fine di gennaio, quest’anno. Se le primule le conoscono un po’ tutti, gli Helleborus – questo il nome scientifico - illuminano l’Orto Botanico di Città Alta anche ora, quando la primavera è solo un’ipotesi. Creando angoli suggestivi in un periodo dell’anno non certo prodigo di fiori. A loro quindi la palma di protagonisti in questi primissimi giorni di apertura dell’orto, da mercoledì scorso (e tutti i giorni dalle 10 alle 12 e dalle 14 alle 17; la Valle della Biodiversità di Astino, invece, apre i battenti ad aprile). Appartenenti alla famiglia delle Ranuncolacee, hanno foglie sempreverdi e a seconda delle specie presentano fiori semplici a coppa, penduli e con stami dorati. Sono bianchi, rosa, porpora, verdi. Puntinati, persino. Attenzione, però: sono velenosi.

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Non è facile arrivare al «Lorenzo Rota», però ne vale la pena. Si arriva solo a piedi, salendo passo dopo passo i 141 gradini che lo separano dal traffico e dalla città. Arrivati in cima, si può godere di un luogo di pace ricco di biodiversità vegetale e da cui si godono ampi orizzonti su Prealpi e Pianura Padana. Durante l’inverno sono state risistemate le aiuole, il gazebo e la serra delle succolente, con nuova cartellinatura per identificare le piante. Sono stati messi a dimora i tulipani, che daranno il meglio di sé ad aprile. E la grande magnolia stellata ha i boccioli turgidi e si appresta ad accogliere i visitatori nel migliore dei modi. Le piante meno rustiche - come agavi, cordiline, banani del Giappone - richiedono ancora evidenti coperture in cellophane. Del resto, non di sole fioriture è fatto l’orto: «Il visitatore ha la percezione dell’orto unicamente in determinate stagioni – ci dice il direttore, Gabriele Rinaldi -, invece solo la sequenza delle visite rende giustizia all’alternanza dei cicli delle piante. Il risveglio primaverile di marzo è stupendo, con fiori di scilla, ellebori, Edgeworthia, ma è interessante anche notare i segni ancora evidenti dell’inverno, del riposo, delle difese contro il gelo che le piante manifestano».

Un esercito di 50mila visitatori all’anno. Nonostante le sue dimensioni alquanto ridotte (circa 3mila metri quadrati), la posizione arroccata dell’Orto Botanico di Città Alta ha permesso la creazione di diversi habitat microclimatici favorevoli alla crescita di oltre mille e duecento specie. «Andremo ad ampliare il numero di quelle autoctone – spiega il direttore Gabriele Rinaldi – e allestiremo come ogni anno il Tropicarium e la mostra dei tulipani. In espansione anche il settore dedicato alle piante alpine, più difficili da coltivare rispetto a quelle tropicali, perché con esigenze ecologiche molto ristrette». È un anno di consolidamento, in sostanza, in cui «cercheremo di diffondere ulteriormente il messaggio che il Lorenzo Rota vale visite ripetute su più mesi dell’anno, perché l’orto botanico cambia e val la pena vedere i passaggi di questo cambiamento». I visitatori, nel 2016, sono stati quasi 18 mila, ma si punta ad arrivare a 20mila. «Quando abbiamo aperto la Valle della Biodiversità ad Astino, nel 2015 – aggiunge Rinaldi -, per Città Alta si è registrato un calo fisiologico, perché abbiamo concentrato le nostre attenzioni sulla nuova creatura. Il numero in assoluto dei visitatori, però è cresciuto di parecchio: complessivamente siamo a quota 50mila e 800, lo scorso anno». L’orto, del resto, non è semplicemente un parco, ma un vero e proprio museo. Un’istituzione che si occupa di “fare cultura” a 360 gradi, gestendo anche la trecentesca Sala Viscontea in Città Alta, sede di mostre, conferenze e laboratori educativi per le scuole.

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