Pasotti, il figlio di Arlecchino porta i colli di Bergamo al cinema
Per il personaggio vestito di pezze a colori è un grande esordio. Nonostante la sua popolare notorietà e anzianità, a differenza del collega inglese Amleto, che vanta la stessa veneranda età, Arlecchino non è mai stato protagonista di un film. E a regalargli l’onore del grande schermo (la pellicola sarà dall'11 giugno nelle sale) non poteva che essere un bergamasco: Giorgio Pasotti. Per la sua prima prova dietro alla macchina da presa, affiancato da Matteo Bini, anch’egli esordiente, il giovane attore si misura, dialoga e si confronta con questa grande maschera orobica della Commedia dell’Arte.
Arlecchino, tra tradizione e contemporaneità. Pasotti si serve di una delle più celebri caricature di tutti tempi per raccontare come il teatro, il più antico medium del mondo, offra ancora molto. Arlecchino è profondamente e indiscutibilmente italiano e nella sua tradizionalità si cela proprio la sua unicità. Un eroe semplice, dal linguaggio universale. Anarchico, libero, un rivoluzionario che si è imposto anche grazie alla sua ironia. Un personaggio che poggia la sua identità tra antiche radici, eppure ancora attuale.
Arlecchino con il suo vestito rimediato è anche il simbolo dell'uomo contemporaneo tutto, un uomo alla ricerca di un'identità che spesso si deve “arrangiare”, trasformando creativamente le poche risorse in qualcosa di nuovo e di piacevolmente rappresentativo del sé. Le toppe divengono un patchwork colorato, un mix di colori che, accostati in modo inusuale, danno come risultato una creatività innovativa che deriva dalla necessità e dalla mancanza. Parlare di Arlecchino nei tempi moderni significa raccontare una favola attuale, in cui tradizione, storia e presente si mescolano per ricordare che forse, anche nei tempi di crisi, la propria identità storica e culturale, il ritorno alle proprie origini e la capacità di scommettere e rischiare sono gli antidoti per non soccombere e per avere fiducia nel futuro.
I nostri piccoli mondi antichi. Il percorso di Pasotti sembra proprio voler scavare tra le fondamenta della nostra antica cultura per riportare a galla storie, leggende, icone, capaci di farci sognare, riflettere e - perché no - provare un senso di nostalgia, rimpiangendole. La tradizione fatica a sopravvivere fra il frastuono del mondo. Io Arlecchino è la storia di un uomo che decide di zittire questo caos per ascoltare il proprio cuore. Consapevole del fatto che nella modernità sembra essersi persa parte della cultura che da sempre ci rappresenta, da molti considerata anacronistica, l’intento di Pasotti sembra quello di riattualizzare un passato ancora glorioso.
Scegliere oggi di raccontare una storia attraverso il linguaggio teatrale, può apparire come un tornare indietro, ma questa pellicola si rivela piuttosto un modo per ripotare in auge la tradizione “Italia”, avvalendosi delle ricchezze della nostra storia. Dei nostri piccoli mondi antichi. Come il minuscolo borgo medievale di Cornello del Tasso, straordinario set naturale e spettacolare palcoscenico della provincia bergamasca nel quale sono state girate le vicende del film.
Tre universi a confronto. Ecco allora contrapporsi tre mondi diversi, nei quali vivono storie e persone caratterizzate da elementi peculiari. Il mondo della televisione, con i suoi luccicanti riflettori, che tutto tengono illuminato senza pudore. Un’immagine, quella televisiva, a tratti superficiale che pretende di farsi custode del senso delle cose. Il mondo della Commedia dell’Arte, nella quale, attraverso le maschere, si raccontano con immediatezza vizi e virtù dell’uomo. E infine il mondo della piccola città di provincia, a tratti soffocata dal verde in una valle angusta, un po’ aspra e grezza, dove roccia e natura si inseguono e mischiano, come in una danza. Un paesino al riparo dai tormenti della città, nel quale il ritmo della vita rallenta, per dare spazio all’incontro con l’altro. In questo contesto, nella natura delle colline orobiche, una bellezza fuori dal tempo si racchiude a tratti nella semplicità di una tavola imbandita, dove il cibo diventa occasione di incontro e condivisione.
Una storia semplice e bella. L’evoluzione del personaggio di Paolo, il moderno Arlecchino, rappresenta il percorso evidente di una trasformazione visiva dello stesso, che culminerà nel finale in una sorta di sorprendente trasfigurazione. Una storia semplice, come confermato da Pasotti, che, raccontando il rapporto padre-figlio, riesce però a mostrare come si può ritrovare la propria identità, paradossalmente attraverso una maschera. Temi dei nostri tempi affrontati in una realtà sospesa. Il protagonista affronta i suoi dubbi alla ricerca di se stesso, alla conquista di un riscatto personale di un personaggio – interpretato da Pasotti - che, perso dietro al successo di un mediocre show televisivo, finisce per recuperare le sue vere origini e la tradizione del teatro in maschera. Perché «Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e vi dirà la verità». Lo diceva Oscar Wilde.