Sono loro ad aprire l’iniziativa “Barista del cuore” (QUI tutte le informazioni) del nostro giornale: Emanuela Generali e suo marito Gabriele Bresciani. Lei ha 47 anni, lui 49. Insieme gestiscono “Al trentotto café”, in via Tasso 38 a Bergamo. Da quindici anni stanno dietro a quel bancone, spalla a spalla, a reggere un mestiere più duro di quanto sembri.
Una vita dietro al bancone
«Io questo lavoro l’ho iniziato a sedici anni – racconta Emanuela -. E da allora non mi sono mai fermata. Ho fatto esperienze in mille locali: bar di paese, discoteche, ristoranti, caffetterie. Ovunque, sempre dietro a un bancone. Sono trent’anni che ci sto, e alla fine non è mai cambiato molto: cambia il posto, il tipo di cliente, ma il mestiere resta quello».

L’incontro con Gabriele avviene poco prima del 2010. «Io avevo già avuto un bar e non ne volevo un altro – spiega lei -. A me stava bene fare la dipendente. Ma lui, invece, sognava un locale tutto suo». Gabriele lo conferma in poche parole: «Io ero partito come cuoco, poi mi sono stancato e ho iniziato a fare il barista. Mi piaceva di più, e volevo un bar tutto mio». Così, nel 2010, aprono insieme il Trentotto. «All’inizio pensavo di dargli solo una mano, giusto il tempo di avviare l’attività – confessa Emanuela -. Invece siamo ancora qui, colleghi, marito e moglie, compagni in tutto».
La realtà del mestiere
Chi pensa che quello del barista sia un mestiere comodo, sbaglia di grosso. «Vantaggi zero – dice subito Emanuela, Manu per gli amici -. Ti devi sempre rimboccare le maniche. Devi stringere i denti, risparmiare dove puoi e imparare a “campare con poco”. Questo settore non ha certezze. Tante volte abbiamo pensato di chiudere e cambiare, come tutti quelli che fanno questo lavoro».
Il “barista perfetto”
Per Emanuela, il barista perfetto è chi vede e sente tutto, ma lo tiene per sé. «Dal bancone ti arrivano un sacco di cose – spiega -. Le persone parlano, si lamentano, raccontano la loro giornata… Ma non devi scordarti la regola numero uno: un buon barista sa i cavoli di tutti, ma si fa i suoi».
Gabriele, sorridendo, aggiunge un tocco più leggero: «Io dal bancone vedo tante cose divertenti. È un punto di vista privilegiato, e non è male».
Un locale, ma due baristi diversi

Con i clienti, Emanuela non ama girare intorno alle cose. «Io sono fatta così: diretta, trasparente. O mi ami o mi odi – ammette -. Non mi interessa piacere a tutti per forza, non ci riuscirei e non ne trovo il senso. Eppure, è proprio questo che spesso la gente apprezza. Certo, a volte qualcuno resta spiazzato e magari crede che io stia scherzando, quando invece sono serissima». Con gli anni ha imparato a leggere gli altri al volo, quella che definisce una delle “abilità da barista”: «A volte bastano i secondi che ci vogliono per preparare un caffè. Dal modo in cui uno ti guarda, o da come ti chiede un espresso, puoi già intuire tante cose del suo carattere e di come rapportarti. Non sempre ci azzecco, sia chiaro, mi è capitato di ricredermi. Ma quell’istinto un po’ ti aiuta».
Lei però non rimane mai ferma al primo giudizio. «Se scopro che una persona non è come pensavo, cambio idea senza problemi. Gabriele invece no: se nei primi cinque minuti qualcuno non gli piace, per lui la storia finisce lì». E il marito conferma: «È vero, io non cambio idea facilmente». Manu però sottolinea subito: «In realtà, qui dentro, è lui quello che piace a tutti. Forse perché è più affabile, più paziente, adora ascoltare e lasciar parlare. È il suo modo di fare, e funziona».
Un minuto degli altri
Per la coppia, il bancone è uno strano confine, quasi un osservatorio. «Il cliente vede un minuto del bar, il tempo di bere un espresso – racconta lei -. Noi invece vediamo tutti i minuti di tutti». È questa la differenza che segna il loro mestiere: da una parte chi entra per una pausa veloce, dall’altra loro che restano sempre lì, ad ascoltarci e osservarci.
Insomma, il Trentotto Café è così: chi varca la soglia si trova davanti un ambiente semplice, familiare, con due persone ben diverse. Lei, diretta, che ti conquista o ti spiazza; lui, più affabile, capace di ascoltare tutti e far sentire a proprio agio chiunque. E forse è proprio per questo che Emanuela e Gabriele – “la Manu” e “il Gabri” – entrano di diritto tra i “Baristi del cuore” della città: perché, pur con caratteri diversi e modi opposti di stare dietro al bancone, insieme riescono a dare al loro locale un’anima, che a Bergamo piace.