Io c’ero

Solo Bollani può far convivere “Tanti auguri” e “Cocaine” in una sola canzone

Solite performance pirotecniche per il pianista jazz (e showman) domenica 22 giugno al Lazzaretto

Solo Bollani può far convivere “Tanti auguri” e “Cocaine” in una sola canzone
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Di Fabio Cuminetti. Foto di Davide Aiello

Quando Bollani sale sul palco con il suo “Piano Solo” esiste una sola regola: rendere omaggio all’arte dell’improvvisazione grazie all’unione sempre nuova di tutte le note messe insieme in decenni di jam session. Ogni volta con un risultato diverso ma sempre incredibile.

Lo stesso è accaduto anche ieri sera sotto le stelle del Lazzaretto. Quasi due ore di brani composti per la maggior parte dall’autore, sì, ma dove emergono citazioni a ogni angolo, echi di refrain riconoscibilissimi – anche un “Yesterday”, per dire - eppure glassati dalle variazioni senza soluzione di continuità del pianista. Che è anche conduttore televisivo, attore, scrittore e sicuramente showman: nelle brevi interlocuzioni col pubblico vien fuori questo talento naturale, l’empatia con la platea come valore aggiunto di una performance già di per sé di altissimo livello.

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Alcuni pezzi sono senza titolo. Altri, spiega, si titolano da soli, come “La va in campagna”, perché ricorda tanto l’ottocentesca “La Marianna”, dedicata all'imperatrice d’Austria Maria Anna che aveva seguito il marito nell’abbandono del trono. Un esuberante flusso di coscienza di colori, emozioni, sensazioni, narrazioni sonore, ammaliando e coinvolgendo il pubblico; e Bollani, da mattatore completo qual è, si approccia al pianoforte con dinamismo, trasporto e libertà, cantando e, spesso, muovendo il corpo quasi in una danza sincopata.

Il bis nel gran finale, dopo un doveroso omaggio a Jobim con “Aguas de Março” («è stata per anni la mia sveglia», racconta Bollani) è come da canovaccio con le improvvisazioni su dieci titoli di canzoni suggeriti dal pubblico. Suggerimenti a tratti guidati, come per “Per Elisa”, un must degli ultimi mesi, e una “Tanti auguri a te” per una Marika del pubblico. “Rhapsody in blue” è una sicurezza. Qualcuno urla «Battiato» e lui dice: «Una volta ho scritto una canzone per Battiato, ma lui non l’ha mai voluta cantare. Forse perché non l’ha mai sentita, e neppure sapeva che l’avevo scritta». Gradisce “Fiori di maggio” e dimostra di apprezzare particolarmente il reef di “Cocaine” di Eric Clapton, con cui agghinda i passaggi da un brano all’altro.

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Lo sviluppo avviene sulle creste del virtuosismo e il risultato è meraviglioso. «Non ho fatto esercizi e non ho elaborato un metodo, in realtà, poi sicuramente avrò delle cose che ripeto, a volte, dei meccanismi, però alla fine le note sono quelle lì, le stesse sette con cui sono composte “Heidi” o “Stairway to Heaven” o la “Sagra della Primavera” – spiega -. Sono semplicemente in un ordine diverso, quindi una volta che trovi una chiave di entrata in queste melodie e una chiave di uscita, a quel punto puoi navigarci dentro, uscire, entrare, uscire, entrare, costruire ponti». Standing ovation.

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