Bidone diamanti, forse il Creberg ha capito di avere un problema
Finalmente un’apertura. Anzi, una porta socchiusa. Ma è meglio di niente. Dopo mesi di silenzio, Banco Bpm ha battuto un colpo sul caso diamanti, quello che riguarda circa centomila investitori italiani per una somma complessiva di poco superiore al miliardo di euro, di cui ben seicento milioni passati proprio dalle filiali Bpm, in particolare dall’ex Credito Bergamasco.
Il caso e l'immobilismo Bpm. La vicenda è ormai, ahinoi, nota: dal 2011 al 2017, quattro dei maggiori istituti bancari italiani (Intesa Sanpaolo, Unicredit, Banco Bpm e Mps) hanno proposto ai propri clienti degli investimenti in diamanti attuando un ruolo di intermediazione per due società, la Intermarket Diamond Business (Idb) e la Diamond Private Investment, che acquistavano e, si è poi scoperto, vendevano a prezzi decisamente rialzati le pietre preziose. Risultato: gli investitori hanno speso ben più di quello che avrebbero dovuto e ora, comprensibilmente, chiedono di essere risarciti.
Intesa, Unicredit e Mps, sebbene con modalità diverse fra loro, si sono mosse, Bpm (ex Creberg) ancora no. Il problema è meramente economico: con ben seicento milioni di euro investiti da parte dei propri clienti, l’opzione di rimborsare tutti al centesimo è impraticabile. Sarebbe un bagno di sangue per le casse dell’istituto. Quindi, che fare? Fino alla scorsa settimana, dai vertici di Bpm non filtrava nulla. Certo, qualcuno parlava di «clima teso» e di «evidente preoccupazione», ma nessuna concreta novità.
Un'apertura. Poi, mercoledì 20 giugno, qualcosa pare essersi sbloccato. A Milano, i vertici dell’istituto hanno incontrato i rappresentanti territoriali di Adiconsum e Federconsumatori, due delle associazioni che si sono direttamente mosse in tutela degli investitori vittime del “bidone” diamanti. «Temevamo di trovarci davanti un muro, invece fortunatamente abbiamo riscontrato una prima apertura – commenta Umberto Dolci, numero uno di Federconsumatori Bergamo e presente all’incontro avvenuto a Milano –. Bpm ritiene di aver operato correttamente, ma ci hanno detto che vogliono comunque venire incontro ai loro clienti e ai nostri associati».
Le colpe. Sembra che le tempistiche lunghe siano state causate da un’indagine interna che l’istituto ha voluto svolgere per comprendere appieno la questione prima di iniziare a parlare di possibili risarcimenti. Legalmente è complicato capire, non essendoci ancora stato nessun processo, se la banca possa aver avuto o meno delle responsabilità nel caso, ma di certo la situazione non è delle più limpide. Un ex dipendente del Creberg, proprio a BergamoPost (qui) ha infatti rivelato che «ogni mese, la filiale aveva un budget da raggiungere piazzando vari prodotti d’investimento ai clienti. Tra questi, c’erano anche i “brillanti”. Pensavamo a tutto noi. Segnalavamo il cliente interessato e fornivamo alla società (la Idb, ndr) il profilo dell’investitore. Ci sono colleghi che hanno fatto carriera piazzando i diamanti ai clienti, perché più ne vendevi, più la banca guadagnava e più ci si metteva in buona luce con i vertici». «La nostra richiesta è stata subito chiara: vogliamo che...»