Un po' come Venezia

Città Alta sempre meno abitata e sempre più per soli ricchi

Città Alta sempre meno abitata e sempre più per soli ricchi
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Città Alta come Venezia. È un paragone che torna ciclicamente, gondole e canali esclusi. È un paragone che ha un unico filo conduttore: lo spopolamento. L’Associazione Città Alta e Colli, nei giorni scorsi, è tornata sul tema (su cui, negli anni, si è più volte espressa) attraverso un mini-dossier recapitato al sindaco e alla Giunta e nel quale denuncia, numeri alla mano, la sempre più difficile situazione sociale che sta vivendo il borgo storico della nostra città.

Meno popolata e più ricca. Volendo fare un breve e semplicistico riassunto, Città Alta è sempre meno popolata e, allo stesso tempo, sempre più ricca. Dal 2011 - anno dell’ultimo censimento ufficiale - a oggi, sottolinea l’associazione, duecentodieci abitanti hanno abbandonato il borgo antico, lasciando liberi qualcosa come circa cento alloggi. Parallelamente, però, il numero di persone considerate “abbienti” che vivono in Città Alta è aumentato del 15 percento rispetto al censimento del 1971. L’associazione scrive: «Si nota la presenza del 63 percento di lavoratori dipendenti contro il 78 percento dell’intera città». Vivere lassù, dentro le Mura, costa. Il ceto popolare è praticamente scomparso, gli immobili hanno quotazioni di acquisto proibitive, che si mantengono tali anche in tema di affitti, con canoni che non scendono da anni, in controtendenza al mercato.

 

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La monocultura del turismo. Alloggi vuoti che sempre più proprietari hanno deciso allora di sfruttare seguendo la sempre più forte anima turistica del borgo: le case vacanza e i bed & breakfast sono sempre di più, cresciuti di quasi il cinquecento percento negli ultimi trent’anni. Città Alta come Venezia, dunque. Perché se nella Serenissima, dal 1951 al 2016, la popolazione è scesa del cinquantadue percento, dentro le Mura il calo è stato meno marcato, ma comunque incisivo: meno 38 percento.

Il fenomeno dello spopolamento è stato accentuato ed enfatizzato sia dalla presenza e crescita delle facoltà universitarie, sia (e soprattutto) da quelli che l’associazione definisce «miopi processi di monocultura del turismo, malgovernati o per nulla governati. La monocultura del turismo è stata ed è capace solo di produrre ristoranti, alberghi, alloggi vacanze e negozi di cianfrusaglie, e allo stesso tempo di favorire esodi di massa di quel tessuto sociale e umano che rende viva e vera una città e i suoi muri. La monocultura del turismo arricchisce pochi, impoverisce molti, uccide le città».

 

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Queste dure affermazioni sono supportate da una serie di dati raccolti dall’associazione. Dal 1976 al 2013, sono praticamente scomparse le attività artigianali all’interno delle Mura (passate da 34 a sole otto) e anche i negozi di generi alimentari (da 16 a tre), mentre sono aumentati in modo significativo i bar e i ristoranti (trenta in più), così come i negozi di souvenir e di abbigliamento (12 in più). Anche l'offerta di ospitalità in Città Alta conferma il cambiamento macroscopico in atto: nel 1976 esistevano, tra alberghi e locande, 74 posti letto, a cui se ne aggiungevano meno di duecento tra affitta-camere e convitti; oggi, considerando alberghi e case per ferie, sono disponibili invece 320 posti letto, che salgono a oltre quattrocento se si considerano anche B&B e case vacanza.

Il fallimento del piano di recupero e una proposta. Spopolamento e unidirezionalità commerciale sono gli emblemi, secondo l’associazione, del fallimento del Piano particolareggiato di recupero di Città Alta e Borgo Canale approvato nel 2005 e che si poneva come obiettivo «la valorizzazione attiva del patrimonio storico, della riqualificazione ambientale, ove nell’ambiente di vuole ricomprendere oltre l’aspetto fisico quello sociale e funzionale». Sul tema, in realtà, l’associazione ha inviato una proposta di azione al sindaco, alla Curia, ad associazioni e fondazioni per una azione sociale congiunta, auspicando l’avvio di un tavolo di confronto che possa individuare una politica per la casa in Città Alta tale da permettere l’utilizzazione programmata di alloggi per giovani e famiglie con un proprio lavoro e l’inserimento di attività commerciali e artigianali utili alla popolazione mediante specifici atti di convenzionamento. Ma, per ora, questa proposta è rimasta inascoltata.

 

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Il colpo di grazia: il piano sosta. Come se ciò non bastasse, le recenti politiche sulla mobilità attuate dal Comune rischiano seriamente, almeno secondo l’associazione, di peggiorare ulteriormente la situazione. Il nuovo Piano della Sosta che entrerà in vigore per il borgo storico nel 2017, infatti, prevede il pagamento di una quota annuale per i residenti e lo spostamento dei loro posti auto lungo le Mura; scelte che «scoraggeranno la venuta di nuove famiglie in Città Alta e renderanno più difficile la permanenza di quelle già presenti».

Alla luce di tutto questo, l’Associazione per Città Alta e i Colli propone di definire forme di collaborazione tra Comune, istituzioni e privati, mediante specifiche convenzioni, per programmare l’insediamento di giovani e famiglie; avviare e prevedere progetti di risalita alternativi che, anche se non immediatamente eseguibili per questioni economiche, siano definiti a livello tecnico così da poter accedere ai finanziamenti europei. Solo così, forse, si può dare un futuro vero - e non solo turistico - a Città Alta.

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