E il futuro?

Il crollo del rublo, spiegato

Il crollo del rublo, spiegato
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L’1 gennaio 2014, un dollaro Usa valeva 32,66 rubli; un anno dopo, due giorni fa, ne valeva 66. Definire catastrofica l’attuale situazione monetaria russa è decisamente un eufemismo: il crollo del valore della valuta nazionale è inarrestabile, procede a colpi di 10 punti percentuali al giorno, i cittadini sono impegnati nel disperato tentativo di cambiare i propri rubli con dollari o euro, prima che rimangano loro in mano dei pezzi di carta pressoché privi di valore.

Un disastro che ha agito in fretta e che in meno di una settimana ha colpito un intero Paese e la sua economia; ma la rapidissima successione di eventi non era, effettivamente, improvvisa e inaspettata: segnali di una possibile crisi monetaria in Russia ce n’erano già dall’anno scorso, e i fatti di questo 2014 (dalla questione Ucraina alle sanzioni internazionali) hanno semplicemente accelerato il corso delle cose.

La questione del greggio. Come si è accennato, era già almeno un anno che gli economisti governativi russi aveva predetto un arresto della crescita del Paese, in particolare a causa delle variazioni profonde che erano state previste per il prezzo del petrolio. Le ultime tre settimane, infatti, sono state caratterizzate da un notevole abbassamento del costo del greggio (di cui vi abbiamo parlato qui), con il boom della produzione americana che ha inevitabilmente danneggiato tutti i grandi e tradizionali produttori petroliferi del mondo, tra cui proprio la Russia.

La ritirata degli investitori. Il Paese è dotato di un’economia fortemente incentrata sulla produzione di materie prime (che si è visto però danneggiata dalla sanzioni internazionali) e dal mondo della fornitura energetica (petrolio e gas); ora, in un contesto in cui entrambi i settori trainanti hanno avuto una brusca battuta d’arresto, gli investitori non hanno impiegato molto a privare Mosca del loro sostegno economico. Quest’ultimo è, di fatto, il fattore scatenante: il cambio del rublo viene stabilito dalla Banca centrale russa sulla base delle contrattazioni valutarie alla Borsa di Mosca; la fuga degli investitori dal mercato russo, con quindi un conseguente crollo borsistico, ha costretto la banca nazionale a stabilire i valori di cambio del rublo con le altre monete, portandoli a quelli che vediamo in questi giorni.

Il problema delle sanzioni. Ma si parlava anche di sanzioni, che rappresentano il secondo grande aspetto problematico. In primo luogo, la guerra portata avanti quest’anno in Ucraina ha, per forza di cose, generato la paura di una possibile instabilità politica in Russia, ed è questo un altro motivo che ha convinto molti investitori internazionali a scappare da Mosca, e soprattutto a sbarazzarsi di tutti i rubli di cui disponevano.

In secondo luogo, le conseguenti sanzioni: le banche e le grandi società russe si sono viste impedire l’accesso ai prestiti occidentali; le scadenze dei pagamenti di fine anno hanno aumentato la domanda di valute estere, senza però che questa potesse venir soddisfatta da creditori stranieri; una dinamica che ha quindi portato la moneta nazionale a subire degli stress notevolissimi.

In terzo luogo, le sanzioni imposte hanno impedito alla Russia di procedere secondo il sua naturale flusso di esportazioni (materie prime ed energia su tutti), il quale garantiva proventi per circa metà del bilancio dello Stato. Ciò quindi ha portato la Russia a non disporre più delle risorse economiche adeguate per le attività di importazione: quasi la metà degli alimenti consumati dai russi vengono importati, e la quota di queste componenti, solitamente pagate in valuta estera, è finita con l’essere troppo alta per le industrie localizzate in Russia. Perciò una fluttuazione del cambio del rublo si riflette subito sui prezzi al dettaglio, e interi settori stanno risentendo della svalutazione. È una sorta di circolo vizioso: più il rublo si indebolisce più si alzano i prezzi di produzione e di dettaglio, ma più aumentano questi e più il rublo crolla.

Quale futuro? La mossa della Banca centrale di aumentare il costo del denaro dal 10,6 percento al 17 percento rischia, secondo molti esperti, di uccidere definitivamente le prospettive di crescita della Russia, rendendo i crediti per banche e imprese troppo costosi. È a rischio anche il sistema dei mutui, che aveva contribuito negli anni precedenti al boom dei consumi. L’inflazione, già raddoppiata al 9 percento rispetto agli obiettivi della Banca centrale per il 2014, non accenna a diminuire, mentre quasi tutte le statistiche sull’economia russa, dall’indice degli investimenti alla produzione industriale, segnano un meno. Anche se il Cremlino decidesse, come auspicano gli esperti internazionali, di fermare l’escalation con l’Occidente e lanciare riforme strutturali del sistema per renderlo più trasparente, liberalizzato e aperto, gli effetti non sarebbero certo immediati.

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