Le decisioni e le reazioni

L'accordo Italcementi, spiegato

L'accordo Italcementi, spiegato
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In questi mesi autunnali la vertenza Italcementi ha calamitato l’attenzione della comunità bergamasca, vista l'importanza del problema, che rischiava di coinvolgere circa mille lavoratori e le loro famiglie. Dopo scioperi, manifestazioni, assemblee organizzate sia dai sindacati sia dall'azienda, negli ultimi giorni il confronto tra le parti è entrato nel vivo, coinvolgendo anche i ministri del Lavoro e dello Sviluppo Economico. Nella giornata di giovedì 3 dicembre è arrivato l’accordo definitivo, dopo sei ore di dura trattativa: la cassa integrazione per riorganizzazione riguarderà 430 lavoratori (fino al 23 settembre 2017), mentre quella per cessata attività coinvolgerà 108 dipendenti delle sedi di Scafa e Monselice (fino al 31/01/17). La differenza sostanziale riguarda dunque le cifre: fino alle assemblee del 16 novembre si era parlato di 230 lavoratori delle fabbriche più 850 possibili dipendenti degli uffici e delle sedi centrali. Dai 1080 si era poi scesi a quota 765; la notizia del 3 dicembre ridimensiona ulteriormente il quadro fino a un totale di 538.

 

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Dove lavorano i 430+108 cassaintegrati. Un importante risultato ottenuto dai sindacati in queste settimane di confronto e scontro è rappresentato dal salvataggio di tre fabbriche: Sarche, Salerno e Castrovillari dovevano infatti chiudere, mentre stando all’accordo sancito verranno solamente riorganizzate, salvando parte dei lavoratori. Sono due gli impianti che mantengono la destinazione di cessazione: Scafa e Monselice, per un totale di 108 lavoratori.

Le altre 430 persone destinate alla cassa per riorganizzazione sono in parte lavoratori delle tre fabbriche salvate sopra citate, in parte invece provengono dalle sedi centrali e dalle fabbriche restanti: solo per questi si era preventivata in precedenza una cifra massima di 850. Secondo le cifre dettagliate: 250 delle sedi di Bergamo, 25 della sede commerciale di Milano, 10 dalla fabbrica di Calusco, 5 da Rezzato, 10 da Colleferro, 5 da Matera, 10 da Samatzai e 10 dall’Isola delle Femmine. A questi si aggiungo quelli degli stabilimenti salvati: 26 da Sarche, 37 da Salerno e 42 da Castrovillari. Per un totale di 430 lavoratori. Se a questi togliamo i 95 delle tre fabbriche salvate (che prima venivano messi nel computo delle sedi destinate alla chiusura), si arriva a 335.. Su una previsione iniziale che poteva arrivare ad 850 siamo a meno della metà. L’impegno delle parti, soprattutto dei rappresentati sindacali, ha pagato, e anche l'azienda ha fatto la sua parte.

Altri 130 lavoratori del CTG. Italcementi ha diffuso un comunicato in data 4 dicembre che aggiunge al computo dei 430+108 altri possibili 130 lavoratori del Centro Tecnico di Gruppo (CTG) per i quali verrà richiesto alla Regione Lombardia un intervento di cassa integrazione speciale per riorganizzazione, analogo a quello dei 430. Ai 335 se ne aggiungerebbero quindi circa 130; 465 dipendenti in cassa sono poco più della metà di quegli 850 inizialmente ipotizzati. Degli iniziali 230 lavoratori delle fabbriche destinate alla chiusura ne vengono invece confermati in cassa 108 (Scafa e Monselice) più 95 (delle fabbriche salvate di Sarche, Salerno e Castrovillari).

 

Manifestazione lavoratori Italcementi-46

 

Resta il dubbio sull’articolo 42. Si tratta di notizie moderatamente positive perché ridimensionano in modo sostanzioso il numero dei lavoratori coinvolti. Tuttavia, un nodo resta ancora insoluto: è quello dell’articolo 42 del Jobs Act. «Le parti coinvolte hanno sottoscritto congiuntamente un impegno a richiedere al governo, quando sarà insediata l'apposita commissione, l'applicazione di questo articolo, per il ricorso agli ammortizzatori sociali per gli anni 2017 e 2018», dicono i sindacati. In questo modo si realizzerebbe il progetto dei vertici Italcementi, che porterebbe ad una copertura fino al 2020, grazie ai successivi due anni di NASPI. Ma nelle ultime settimane non hanno tirato venti molto ottimistici sulla questione: circa due settimane fa i sindacati avevano espresso poca fiducia in tal senso: «Il Governo – recitava il comunicato – ha precisato che non vi sono le condizioni per utilizzare l’art. 42».

Altre misure di sostegno al reddito. Certo, si potrebbe obbiettare che la cassa integrazione va a pesare anche sulle finanze statali e quindi sui nostri portafogli. Infatti alcuni esponenti di spicco del mondo politico e sindacale hanno fatto notare la cosa nelle scorse settimane, chiedendo invece investimenti diretti sul territorio da parte della famiglia Pesenti che detiene le quote di maggioranza. Bisogna però anche ricordare che Italcementi porta avanti alcune forme di sostegno ulteriore ai lavoratori: l’anticipo della somma erogata mensilmente dall’INPS, un sostegno economico aggiuntivo, un contributo annuale sulle spese mediche, contributi per iniziative di auto-imprenditorialità, percorsi di riqualificazione professionale. Sono in discussione in questi giorni anche gli incentivi all’esodo, per portare ove possibile a prepensionamenti: le cifre varierebbero tra i 42 e i 55 mila euro lordi.

Come hanno reagito i sindacati. I sindacati del territorio bergamasco hanno accolto con cauta soddisfazione l’esito dell’accordo, evidenziando il vistoso calo a livello numerico dei lavoratori coinvolti sul territorio bergamasco: 250 della sede centrale, 130 del CTG e 10 a Calusco, mentre originariamente si parlava di ben 680 persone. «Dopo mesi di discussione e 8 ore di sciopero, effettuate presso la sede centrale di Bergamo, il risultato raggiunto per quanto riguarda il mantenimento occupazionale è soddisfacente. Lo stesso si colloca in un momento che vede la provincia di Bergamo, ai massimi storici di disoccupazione», hanno osservato congiuntamente le sigle sindacali di categoria, ribadendo poi l’importanza delle tutele aggiuntive messe a disposizione dall’azienda e la volontà di verificare in futuro una possibile applicazione dell’articolo 42. Hanno poi concluso così: «Le segreterie di Filca Cisl, Fillea Cgil e Feneal Uil di Bergamo ritengono che l'accordo, oltre a mantenere tre cementerie destinandole a diventare centri di macinazione, tuteli al meglio in questo delicato momento i lavoratori della Sede di Bergamo e conceda ulteriori spazi di discussione e di trattativa che saranno sicuramente necessari. Nell'assemblea sindacale dei lavoratori della sede, convocata per mercoledì 9 dicembre 2015 condivideremo nei particolari i contenuti dell'accordo».

Come hanno reagito i politici. Valutazioni di carattere politico sulla vicenda e sull'accordo sono state espresse dal deputato PD Giovanni Sanga, il quale ha sottolineato che comunque la situazione è ancora incerta: «Si tratta di un accordo politico di carattere generale, che va ancora ben definito dal punto di vista dei contenuti, cioè dei costi dell’operazione», ha detto Sanga. «In questo modo - ha aggiunto - la maggior parte del costo rientra nel fondo che le aziende versano per la cassa integrazione, mentre se si fosse usato l’articolo 42, come volevano i sindacati, i costi sarebbero stati a carico della fiscalità generale. In questo modo, invece, la spesa è un po’ più suddivisa».

A proposito della vendita a Heidelberg, Sanga è diretto: «L’azienda aveva già avviato un percorso di cassa integrazione, parallelo a progetti e investimenti. Avendo poi deciso improvvisamente di vendere, anche il governo si è trovato spiazzato: gli azionisti di Italcementi avranno avuto i loro motivi, ma sta di fatto che la politica si è trovata di fronte al fatto compiuto. Gli investimenti e i piani industriali sono saltati tutti; l’azienda si è impegnata a fare alcune cose (vedi sopra, ndr), ma quando arriverà il closing entreranno in scena i tedeschi e saranno loro ad assumere impegni reali e definitivi. Siamo in una situazione delicata anche per questo motivo: Heidelberg non vuole sbilanciarsi sui passi futuri. Certo l’azienda bergamasca mette a disposizione risorse, ad esempio i 42/55 mila euro per l’esodo, ma i piani industriali li faranno quelli che dovranno arrivare».

Sanga ritorna infine alla questione della fiscalità generale: «Non si può pretendere che il governo sia sempre disposto a rispondere di fronte alle scelte di privati che decidono di vendere e mandare in cassa mille dipendenti. Servono progetti e piani industriali, altrimenti il Ministero si trova di fronte al nulla. I soldi guadagnati dall’operazione potrebbero essere reinvestiti, ma oltre all’annuncio di Pesenti in questo senso non si è visto ancora nessun progetto concreto».

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