Non siamo un Paese per vecchi E la questione ricade sui figli

«Vorrei abbracciare mia mamma e allo stesso tempo urlare. Non posso abbandonarla, ma non mi sento più il diritto di vivere i miei progetti». Lo dice Laura, 52 anni, in una lettera inviata alla dottoressa Emilia Strologo, la prima psicologa della Bergamasca.
I figli-genitori. Sono parole che riflettono un problema che è diffuso e grave anche a Bergamo. E manifestano la condizione psicologica dei cosiddetti figli-genitori, che si ritrovano costretti a rinunciare ai propri progetti (da piccoli viaggi a importanti scelte lavorative) per badare ai propri genitori. Donne e uomini torturati dai sensi di colpa. «Questo - aggiunge Emilia Strologo - anche perché gli anziani percepiscono l'assistenza come un qualcosa di cui avere paura, come la definitiva disgregazione della loro identità, da “persone” a “problema da gestire”, e quindi spesso si battono con tutte le loro forze per avere fino all'ultimo la sola assistenza dei figli, rifiutando badanti dequalificate, case di riposo e qualunque altra forma di assistenza. Come mai? Perché nessuno, nemmeno un anziano stanco, senza forze, vuole sentirsi “malato”».
A Bergamo gli anziani ultraottantenni sono quasi diecimila. Un fenomeno che riguarda tutto l’Occidente; a lungo andare la cattiva gestione di questa questione potrebbe portare al fallimento degli Stati europei, come già da tempo ammonisce il Fondo Monetario Internazionale. «Il problema - continua Strologo - è che il nostro modo di assistere gli anziani è lo stesso del secolo scorso, mentre la società è profondamente diversa: innanzitutto l'aspettativa di vita è aumentata di circa vent'anni e inoltre le donne, le principali assistenti degli anziani, ricoprono oggi una molteplicità di ruoli, anche e soprattutto a livello individuale, che vanno ben oltre alla semplice gestione familiare».
La quarta età. Oggi è sempre più naturale parlare di quarta età per riferirsi agli ultra-ottantenni, che non sono più un'eccezione come nel secolo scorso, ma un cospicuo gruppo sociale che rappresenta, in Italia, il 6,5 per cento della popolazione. Spesso la loro assistenza è a carico di figli sempre più prossimi alla cosiddetta terza età, quella che una volta era considerata la vecchiaia. Brutalmente: figli anziani che devono assistere genitori ancora più anziani.
L'alternativa all'assistenza familiare sono le Rsa, che costano però circa duemila euro al mese (ma con picchi di cinquemila per le strutture private in caso di non autosufficienza), mentre il 50 per cento delle famiglie di anziani percepisce mille euro o meno di pensione. Considerando che la scarsa natalità sbilancia la proporzione tra giovani e pensionati (si stima che in pochi anni si arriverà ad avere due pensionati per ogni giovane lavoratore: numeri impressionanti, se si pensa che il rapporto nel 1951 era un anziano per quattro giovani lavoratori), ne consegue che il sistema pensionistico, così come si presenta ora, è destinato al collasso. E chi pagherà (e già oggi paga) dunque l'assistenza a quegli anziani che da soli riescono a coprire solo la metà delle spese? Ovviamente i figli, gli stessi figli che in pochi anni dovranno provvedere anche alla propria assistenza, in un mondo sempre più anziano e sempre più difficile da gestire.
«La longevità non è una malattia - continua la dottoressa Strologo -, e il problema sta proprio nel cercare di favorire l'autosufficienza e l'importanza sociale degli anziani, garantendo un aiuto non umiliante e proporzionato ai bisogni, personalizzato. Anche perché nonostante la casa di cura sia spesso vista come un grande disagio ("Non si può decidere quasi niente, e non puoi tenere niente di tuo”) le amministrazioni preferiscono investire sulle case di riposo piuttosto che sull'assistenza domiciliare, troppo costosa e dunque sottoposta a continui tagli. Si preferisce, insomma, liberarsi degli anziani piuttosto che assisterli in prima persona e valorizzarli come risorse della società».
Smart Home e Smart City. Affrontare il problema dei metodi di assistenza degli anziani è quindi un'urgenza, sia per quanto riguarda la psicologia degli anziani e di chi li assiste, sia per quanto riguarda la prevenzione del collasso sociale incombente se non già in atto. Ma una soluzione ci sarebbe. Dice Emilia Strologo: «L'obiettivo è garantire l'autosufficienza degli anziani il più a lungo possibile, per prevenire sia il sovraffollamento dei ricoveri, sia per stare al passo con l'evoluzione antropologica: se le aspettative di vita aumentano, deve necessariamente alzarsi la soglia della vecchiaia». Come fare? Innanzitutto sensibilizzare la popolazione al problema, che è su scala globale e che riguarda direttamente anche i più giovani, che sono pur sempre i vecchi di domani. Dice la psicologa: «Dopodiché, garantire un pool di specialisti della casa che si occupino di trasformare le abitazioni degli anziani in smart home costruite su misura per loro ("La mia casa necessita soltanto di qualche maniglia al muro o di qualche corrimano... tutti servizi che costano tre o quattro volte meno di quelli offerti da una struttura di ricovero", scrive alla psicologa la signora Maria, 75 anni), e investire in un'assistenza sanitaria più puntuale e adeguata: per esempio, un aiuto nel pagamento di bollette, nelle pulizie e nell'assistenza sanitaria a domicilio come previsto dalla legge italiana. C'è chi parla, per il futuro, di case robotizzate, in cui la tecnologia sostituisce i lavori domestici per permettere agli anziani di restare a casa e morire tra le proprie cose».
Un investimento su più larga scala invece è la cosiddetta smart city, una città senza barriere architettoniche, a misura d'anziano. Nel 2009 l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha mosso i primi passi in questa direzione, con l'inaugurazione del progetto di invesimento Ag e friendly cities network, la rete delle città amichevoli. Tra le trentadue città che hanno aderito, nemmeno una è italiana.