Pro e contro della candidatura del sindaco Giorgio Gori in regione
Alla fine è ufficiale: Giorgio Gori va. Ci è voluto un po’, ma alla fine il Pd ha scelto lui. Manca ancora qualche passaggio (tra cui anche l'ufficialità), ma è stato lo stesso segretario dem lombardo Alessandro Alfieri a telefonare qualche settimana fa al primo cittadino orobico (che si trovava al mare per il weekend) per informarlo che lunedì 24 luglio avrebbe formalmente presentato l’opzione della sua candidatura, con tanto di possibile addio alle primarie, al tavolo delle forze di centrosinistra regionali. Se ne sta ancora discutendo, la decisione definitiva è traslata a fine agosto, dopo un po' di vacanze, ma la strada sembra segnata. Insomma, a distanza di dieci mesi dal primo numero del nostro settimanale, ironicamente intitolato Giorgio vai pure, ma lasciaci Cristina, Gori è pronto ad andare (ma, pare, si poterà dietro anche la moglie Cristina Parodi, che molto probabilmente condurrà Domenica In dagli studi Rai di Milano e non da Roma). Dopo tanti rumor, il governatore Roberto Maroni ha confermato che per il Pirellone si andrà alle urne alla naturale scadenza del suo mandato, ovvero primi mesi del 2018. I democratici e Gori, dunque, hanno ora davanti diversi mesi per preparare una campagna elettorale capillare, che vada ad abbracciare l’intero territorio regionale.
Gori il giorno della vittoria, quando è stato eletto sindaco, il 9 giugno 2014
I pro. Bene, ma Bergamo? Nessuno choc. Da tempo in quel di Palazzo Frizzoni ci si sta preparando a questa opzione. Se Gori andasse, il testimone passerebbe al suo vice, Sergio Gandi. E in Giunta sono tutti d’accordo: è giusto che il sindaco ci provi. Anche perché avere un bergamasco a capo della Regione non potrebbe che giovare alla città, come ha sottolineato a L’Eco il deputato dem Elena Carnevali: «Bergamo e provincia sanno di poter contare su chi ha dimostrato che un nuovo ruolo si può giocare per lo sviluppo di questo territorio». Della stessa opinione anche Antonio Misiani: «Avere Gori come presidente della Regione può essere una straordinaria opportunità per il nostro territorio». La dimostrazione empirica di questo teorema, paradossalmente, arriverebbe da uno dei più ferventi oppositori del primo cittadino: l’azzurro Alessandro Sorte, bergamasco e attuale assessore regionale ai Trasporti che, proprio al Pirellone, ha fatto tanto (e bene) per la Bergamasca.
Va detto, inoltre, che Gori, sebbene sia il sindaco di Bergamo, è in realtà un profilo di caratura nazionale. Grazie al suo passato da imprenditore di successo e alla sua preparazione, spesso viene invitato in programmi televisivi a parlare di temi che vanno ben oltre le Mura, ma con importanti ricadute locali. Esempio ne sono le campagne avviate da Gori su immigrazione e gioco d’azzardo. In tal senso, da governatore lombardo le sue proposte potrebbero avere un peso specifico maggiore rispetto a quello odierno. Anche perché è difficile trovare qualcuno, nei cosiddetti “piani alti”, che parli male di lui. È stimato in tutta Italia, dai colleghi dem del Sud ai vertici di partito in quel di Roma («Gli voglio molto bene, è una persona valida», Matteo Renzi dixit), ma anche da diversi esponenti dell’attuale opposizione nazionale. Un nome su tutti: Silvio Berlusconi, tornato sulla cresta dell’onda politica e che non ha mai nascosto di nutrire per Gori rispetto, simpatica ed enorme stima.
L'allora premier Matteo Renzi a Bergamo e Giorgio Gori
Durante la campagna elettorale, poi, Gori potrebbe presentare un ottimo biglietto da visita: il suo governo a Bergamo. Sotto di lui, è indubbio che la città abbia avuto una scossa positiva, aprendosi finalmente al mondo e portando a termine (o quantomeno sbloccando) progetti che erano fermi ai box da tempi immemori. Con piglio eccessivamente decisionista forse, ma lui è fatto così. La sua mentalità e la sua ambizione sono poco bergamasche e molto più milanesi (o addirittura romane, ma non corriamo troppo).
Per tutti questi motivi, quindi, è giusto che Gori vada. Anche perché, come ha detto giustamente il segretario provinciale del Pd Gabriele Riva, «Gori è diventato il punto di riferimento del centrosinistra lombardo». Un leader, unico vero nome del Pd in grado di confrontarsi alla pari, anche in termine di consensi, con Maroni. E si sa che, quando si hanno due sfidanti di alto profilo, il livello del gioco si alza.
Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori e il Presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni
I contro. Il governatore Roberto Maroni, informato della candidatura ufficiosa ma quasi ufficiale di Gori, ha commentato: «Che piacere!». L’idea di confrontarsi con un profilo “alto”, forse, stuzzica anche lui. Oppure, semplicemente, si sente abbastanza forte da non temere nessuno. Anche perché, a fare la “guerra” al sindaco di Bergamo lanciato verso il Pirellone, ci stanno già pensando le opposizioni locali, che lunedì 24 luglio, a Palazzo Frizzoni, hanno firmato la formale richiesta di dimissioni del primo cittadino per alto tradimento. «Il suo è un tradimento per i cittadini di Bergamo. È evidente che ha usato il Comune come trampolino di lancio», ha tuonato dalle colonne de L’Eco il coordinatore provinciale azzurro Paolo Franco. Una tesi condivisa dal segretario provinciale della Lega Daniele Belotti: «Da oggi, Bergamo avrà un sindaco con la testa da un’altra parte». «Un atteggiamento da opportunista», commenta invece il consigliere regionale pentastellato Dario Violi. Più diplomatico l’ex sindaco Franco Tentorio : «Ci ripensi, la parola data va mantenuta».
Dichiarazioni politiche a parte, è certo che decidendo di correre per la Regione, Gori, indirettamente, decida di rompere quel legame con Bergamo iniziato nel giugno 2014. Tenere i piedi in due scarpe è dura anche per un manager bravo come lui. Lasciare con un anno di anticipo Palazzo Frizzoni, inoltre, vorrebbe dire abbandonare una serie di progetti avviati in questi anni e ancora in fase di sviluppo. «Posso contare su una Giunta molto compatta», dice lui rispondendo ai critici. Ma questo è tutto da provare. Il suo carisma e il suo decisionismo, infatti, hanno più volte messo in ombra le altre personalità della Giunta e potrebbero anche aver nascosto debolezze della squadra, talvolta venute a galla su alcuni temi amministrativi affrontati in questi anni. Insomma, il rischio è che Bergamo rimanga senza sindaco e con una Giunta debole al comando, come hanno sottolineato i consiglieri comunali della Lega Luisa Pecce e Alberto Ribolla: «A sostituirlo non basterà il lavoro di squadra che assicura il vicesindaco Sergio Gandi. Ci sta lasciando nel guado».
La giunta Gori
Senza contare che non è scritto da nessuna parte che il primo cittadino vincerà le regionali. Anzi, sondaggi alla mano, Maroni è in vantaggio. Che farà se dovesse perdere? Tornerà qui? E con quale credibilità? Domande che si sono giustamente posti anche Danilo Minuti e Davide De Rosa della Lista Tentorio. Ora, nella sua città, Gori è un cigno; il rischio è che tra nove mesi si ritrovi ad essere, invece, un’anatra zoppa. Proprio per questo motivo, forse, finora Gori, almeno mediaticamente, non s’è mai esposto con fermezza. «Sono rimasto con il cerino in mano», ha detto il 24 luglio a margine del Consiglio comunale, commentando la convergenza del centrosinistra lombardo sul suo nome. Una risposta che ricorda quel «se devo, vado» di qualche tempo fa. Una sorta di “vittimismo” politico poco credibile agli occhi di chi ben conosce il sindaco, sempre proiettato due passi più avanti. Dichiarazioni che, probabilmente, volevano essere solo una precauzione ma che, in realtà, hanno infastidito anche chi, in fondo, comprende la sua scelta.
Quel che preoccupa, semmai, è il vuoto che si lascerà alle spalle. Gandi è una persona stimata, un professionista serio e preparato, ma certo non l’erede di Gori. Manca di quel carisma che ha fatto dell’ex numero uno di Magnolia un indiscusso protagonista del Pd lombardo e finanche nazionale. E anche nelle opposizioni la situazione non è migliore. Scorrendo i nomi, è difficile immaginare un futuro sindaco di Bergamo. Forse Sorte, ma siamo sicuri che lui sia veramente disponibile a un ritorno a “casa”? Gori, piaccia o meno, è l’ultimo vero leader di Bergamo al momento. E non è proprio elegante lasciarci così, noi sì con il cerino in mano.