Che cosa è il Corpus Domini: pioggia, vento e sangue nelle vene
Presentando – anni or sono - a Bologna il drammaturgo americano Arthur Miller, che era stato marito di Marilyn Monroe, Umberto Eco lo chiamò “il più invidiato tra gli intellettuali” – o qualcosa di simile. Ho perso gli appunti. La letteratura, ok. Ma Marilyn chi se la può scrivere?
Malinconica e cortese ironia, quella di Eco. Ma – invidia per invidia - cosa non darebbe, ciascuno di noi che si arrabatta tra tastiera e schermo, per sentirsi dire dal Crocifisso in persona – come accadde a Tommaso d’Aquino: “È proprio giusto quello che hai scritto su di me, Tommaso” (Bene scripsisti de me, Thoma) ? Ma è solo la prima parte dell’intervento. Che può sollecitare, nel migliore dei casi, la vanagloria. Per questo, forse, è la più riportata. È però la seconda quella decisiva: “e adesso, che ricompensa ne avrai?” proseguì grato il Signore. “Nient’altro che te” fu la risposta.
Da impazzire, un amore così. Perché non è una cosa “mistica”, “spirituale”, intellettuale.
È una cosa come Marilyn. Anzi, di più. C’è di mezzo, come direbbe Jovanotti, il vento e il sangue nelle vene. Cioè le cose che, in quegli anni lontani, una parte dei cristiani – puristi all’eccesso – volevano escludere dalla fede.
Corpo e sangue, il cristianesimo.
E dato che lo scambio fra il frate e il suo Signore era avvenuto a Orvieto, è la città sulla rocca la sede titolare della festa.
Che dice cosa? Dice che noi non siamo spiritualisti esangui. Che a sostenere la nostra vita è soltanto il fatto di scoprirci innamorati ogni giorno ogni ora ogni giorno ogni ora di più di più (mi è preso il trip di Lorenzo) non di Dio in generale, ma della sua decisione di rimanere fisicamente con noi nel corpo e nel sangue di coloro che ne sono il corpo e il sangue.
Dice: ma dove la vedi ‘sta cosa, come si fa a crederci? È vero: è un problema. Però qualche anno prima del nostro Tommaso un altro uomo innamorato, Bernardo da Chiaravalle, ha scritto una cosa decisiva in proposito nella poesia Gesù, La dolce memoria. Ha scritto, Bernardo: è una cosa, questa, che le parole non riescono a dire né a voce né per scritto. Però chi ne ha fatto l’esperienza lo sa cosa significa sentirsi una cosa sola con Gesù.
Del resto, aggiungiamo noi, chi non l’ha sperimentata, questa radicale inadeguatezza delle parole quando si è trovato a voler comunicare qualcosa che lo ha sorpreso nel profondo – un fulmine di felicità, uno sguardo inatteso e pure sperato, un dolore lancinante? Così capiamo perché Tomaso abbia ripetuto – nell’inno, Pange lingua, che gli fu commissionato per l’occasione – : La parola di Dio fatta carne, con le sue parole, ha reso carne il pane. Il vino si è fatto sangue. Questo è successo. Ma se i nostri sensi non ci arrivano, almeno diamo fiducia a chi di questa cosa – di questa fisicità di Cristo – ha fatto diretta esperienza. Era a questo che si riferiva il Signore quando gli ha detto: hai scritto proprio bene, ragazzo mio. Volete non farci una festa, su una cosa così?