L'Italia ne conta ben sei

Dalla Capoeira alla vite dello zibibbo I patrimoni immateriali Unesco

Dalla Capoeira alla vite dello zibibbo I patrimoni immateriali Unesco
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Nella decisamente poco probabile eventualità che, un giorno, vi trovaste a coltivare della vite ad alberello sull’isola di Pantelleria, con un noken (sacchetto annodato del popolo di Papua) alla cinta, circondati da ballerini di Capoeira che danzano sulle soavi note delle trombe traverse della comunità Tagbana, sappiate che siete degli uomini fortunati, completamente immersi in una serie di patrimoni dell’umanità per l’Unesco. Precisamente in una serie di patrimoni orali e immateriali dell’umanità dell’Unesco. Già, perché l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, comunemente nota con l’acronimo Unesco per l’appunto, ha deciso di sottolineare l’importanza di alcune espressioni della cultura immateriale mondiale attraverso la creazione di un apposito elenco, dove solo le tradizioni orali e immateriali più meritevoli possono entrare a far parte.

Il 27 novembre, l’Assemblea generale dell’Unesco riunitasi a Parigi ha deciso quali nuove e ulteriori tradizioni possono ritenersi un patrimonio dell’umanità, tanto quanto, per dire, la Muraglia cinese o i Sassi di Matera. Tra i nuovi entrati, anche la coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria (quella da cui nasce lo Zibibbo, entrato a far parte, sempre il 27 novembre, dei patrimonio dell’umanità materiali) e la Roda di Capoeira, ovvero la tipica danza brasiliana che è una via di mezzo tra sport, ballo, lotta e arte.

Storia di patrimoni immateriali. I capolavori immateriali dell’Unesco si vanno ad affiancare ai siti patrimonio dell’umanità. Mentre quest’ultimi sono decisamente materiali e tangibili (siti archeologici, città, parchi naturali), i primi sono antiche tradizioni, senza alcuna possibile codificazione scritta, ma tramandate oralmente di generazione in generazione. La prima lista venne stilata nel 2001, e i patrimoni iscritti furono solamente 19. Tra questi, anche il Gbofe di Afounkaha, cioè la musica delle trombe traverse della comunità Tagbana, in Costa d’Avorio, e il Carnevale di Oruro, in Bolivia, festeggiato nei 10 giorni che anticipano la Quaresima e aperto da oltre 28mila danzatori e 10mila suonatori, che marciano su di un percorso di 4 chilometri per 20 ore ininterrotte. Una cosa poco faticosa insomma. Nel 2003 ne furono aggiunti ulteriori 28. Nella 32esima Conferenza generale dell’Unesco, tenutasi a Parigi quello stesso anno, attraverso la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale furono sanciti, con maggior chiarezza e rigore, i criteri da seguire perché una tradizione possa entrare a far parte di queste liste. Nel 2005 ne furono aggiunti di nuovi, ma dal 2008 l’iscrizione fu annuale. A dicembre 2012 si contavano già ben 257 patrimoni immateriali dell’umanità. Ogni capolavoro viene proposto da uno o più Paesi. Altri sono proposti da un Paese solo ma con il sostegno di uno o più altri Paesi. I criteri di selezione e le procedure di iscrizione sono stati rivisti all'assemblea generale del giugno 2010. Tutti i criteri devono essere presenti contemporaneamente affinché un patrimonio possa essere proposto per l'iscrizione. Il 27 novembre ne sono stati iscritti ulteriori 34.

 

 

I vecchi e i nuovi. Praticamente impossibile elencarveli tutti. Potrete consultare la lista completa QUI, sul sito ufficiale dell’Unesco. Sappiate, però, che i musicisti dei tamburi conga della Fratellanza del Santo Spirito del Congo di Villa Mella ne fanno parte, anche se probabilmente, fino ad ora, non sapevate minimamente della loro esistenza. Stesso discorso vale per il canto polifonico georgiano, il teatro nogaku giapponese e i canti hudhud degli Ifugao delle Filippine. Tutti questi sono tra i primi 19 patrimoni immateriali iscritti nel 2001. L’Italia può vantarsi di avere una sua tradizione in quella prima lista ancestrale: l’opera dei pupi siciliani, cioè una forma di teatro con le marionette dalle due grandi scuole, quella palermitana e quella catanese. Pochi anni dopo, nel 2003, l’onore toccò, tra le altre, al carnevale belga di Binche, al ballo reale della Cambogia e agli akyn, i cantastorie kirghizi. Nel 2005 tornò anche l’Italia, grazie al poco noto canto a tenore della cultura pastorale sarda.

Il Belpaese dovette poi attendere il 2012 per tornare a fregiarsi di tale riconoscimento, e il merito fu dell’artigianato tradizionale del violino a Cremona. Quello stesso anno anche la Falconeria, cioè la caccia col falco, entrò a far parte dei patrimoni immateriali dell’umanità, così come il festival della ciliegia di Sefrou, in Marocco. Chissà perché quello sì e la sagra della porchetta d’Ariccia no. Ma l’anno di gloria del nostro tricolore fu il 2013, con ben due tradizioni entrate a far parte dell’ambita lista dell’Unesco: la dieta mediterranea (anche se, per qualche strana ragione, abbiamo dovuto condividere il riconoscimento con Spagna, Marocco, Grecia, Portogallo, Cipro e Croazia) e la celebrazione delle grandi strutture processionali a spalla, cioè l’elogio delle quattro feste religiose di Viterbo (Macchina di Santa Rosa), di Nola (Festa dei Gigli), di Palmi (la Varia) e di Sassari (la Faradda di li candareri).

Come detto, l’ultimo patrimonio immateriale italiano ad entrare nella lista è stata la coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria. Insieme ad essa, la già citata Roda di Capoeira, la balestra mongola, la sauna di Voromaa, in Estonia, e la particolare arte del cucito di Zmijanje, in Bosnia.

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