Mangiar bene in Città Alta

Dalla "Vendemmia" a piazza Mascheroni: la Rosy, buona e decisa come un'amatriciana

Dalla "Vendemmia" a piazza Mascheroni: la Rosy, buona e decisa come un'amatriciana
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di Heidi Busetti

La signora Rosy ha mani ruvide, occhi grigio-azzurri e un’energia da vendere. Di apparire non se ne parla: «Non mi faccia foto». Per quasi trent’anni ha gestito il ristorante “La Vendemmia” alla Fara, da un anno ha traslocato al numero 4 di piazza Mascheroni: ha rilevato il vecchio bar “La Campanella” e lo ha trasformato in un ristorante tradizionale. Lo ha chiamato “Rosy - Dai Gustosi”, ma il figlio e gli amici del figlio non sono d’accordo e le suggeriscono di chiamarlo, semplicemente, “Da Rosy”, punto.

Rosy Angelini è un’imprenditrice di vecchio stampo, di quelle che non si stancano mai di lavorare. Nella vita vorrebbe «che tutti fossero felici», ma soprattutto che «a tutti andasse bene il lavoro». Dice Rosy seduta per un attimo nel delicato dehor del ristorante: «Il fatto che io non possa abbracciare la gente, mi pesa molto», riferendosi a questi mesi difficili. Le sue radici affondano in una storia di trattorie e di osterie, la tradizione della sua famiglia, dei suoi genitori Nunzio e Rina.

Partiamo dall’inizio.

«Sono nata in una famiglia di ristoratori che aprirono la prima attività a Bergamo, nel 1963. Mio padre era di Amatrice, mia madre di Bergamo. Aprirono il loro primo locale a Milano, che divenne molto conosciuto; poi decisero di stabilirsi sul Colle di Bergamo Alta per aprire “La Montanina”, a cui seguì il ristorante “Nerone” e poi “Il Nunzio” a Ponteranica. Per me la ristorazione è una vera passione: amo coccolare i miei clienti, sapere che stanno bene».

Il rapporto umano...

«È fondamentale! Già averla incontrata ed essermi presentata senza darle la mano, per me è una cosa bruttissima (tira un sospiro). La trovo triste…».

Quali sono le altre caratteristiche di Rosy?

«Sono una persona che ha speso tutta la vita per il lavoro e la famiglia. E sono molto contenta delle scelte che ho fatto. Anche ora che ho aperto questo nuovo ristorante: qui è tutto più veloce e si lavora molto con il turismo. E va bene così!».

Andava bene così, prima del Covid.

«Mi faccia un’altra domanda».

Che cosa le piace cucinare?

«Be’, noi prepariamo tutti i piatti tipici bergamaschi, in più, riprendendo le origini di mio padre, cuciniamo piatti della tradizione romana e anche della cucina tradizionale italiana. La nostra amatriciana è preparata secondo la ricetta originale ed è buonissima anche la pizza».

Qual è il piatto romano, e quale quello bergamasco che le riesce meglio?

«Il piatto romano è sicuramente l’amatriciana. Il piatto bergamasco è il brasato. Poi naturalmente, ho anche i casoncelli fatti in casa… A dirla tutta, abbiamo sempre pasta fatta in casa. Prepariamo anche gli gnocchi, lavorandoli uno a uno, con la zucca, all’ortica, con le patate viola… una meraviglia! Ora, rispetto a “La Vendemmia” abbiamo un po’ ristretto il menù: una decina di primi, una decina di secondi e una decina di piatti tra vegetariani ed estivi, che in inverno vengono sostituiti da zuppe profumate. E poi una quindicina di pizze e i dessert».

Covid a parte, il turismo a Bergamo è importante?

«Lo scorso anno, in primavera, Piazza Mascheroni era piena. E c’erano molti turisti anche quest’inverno. Bergamo è una località turistica, al pari di altre città forse più conosciute nel passato. La gente si ferma due o tre giorni. Tanti turisti arrivano dall’Est Europa. Dopo il “lockdown”, i primi clienti che ho servito venivano da Sofia. Poi avevamo moltissimi spagnoli, e devo dire che anche la presenza italiana si è fatta sentire. Ad aprile dello scorso anno abbiamo visto tanti di quei sardi da chiederci se l’intera isola si fosse trasferita qui». (...)

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