Possibilità di integrazione

Gli “ambasciatori” orobici in viaggio in Bosnia: si inaugura la casa per migranti

Le associazioni del territorio hanno illustrato in loco il progetto “Oltre l’emergenza profughi in Bosnia-Erzegovina” e visitato la safehouse che ospiterà una famiglia di richiedenti asilo

Gli “ambasciatori” orobici in viaggio in Bosnia: si inaugura la casa per migranti
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Una delegazione costituita da Marzia Marchesi, presidente del Coordinamento Provinciale Bergamasco Enti Locali per la Pace, Aldo Lazzari della Caritas Bergamasca e Giulia Baleri della Cgil Bergamo ha compiuto un viaggio a Kakanj, in Bosnia-Erzegovina, per partecipare all’inaugurazione di una safehouse destinata ad ospitare una famiglia di richiedenti protezione internazionale.

«La struttura rappresenta un modello di accoglienza, alternativo ai grandi centri – hanno spiegato dal Coordinamento enti locali per la pace - per coinvolgere più direttamente le comunità locali, fornendo una vera e propria possibilità di integrazione e di autonomia nel contesto del progetto Oltre l’emergenza profughi in Bosnia-Erzegovina». Il progetto è finanziato da diverse realtà bergamasche e da partner internazionali, che hanno contribuito a vario titolo all’iniziativa. I rappresentanti bergamaschi hanno incontrato tante persone: gli operatori della ong locale Alternative, delegati dell’International Organization for Migration (Iom), referenti della Caritas bosniaca e il sindaco di Kakanj, fondamentale affinché il progetto andasse in porto.

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Ad oggi non è ancora stata accolta nessuna famiglia con i requisiti richiesti, anche se diverse persone stanno provando a superare i confini. «Questo inverno – ha spiegato la delegata dello Iom - sono mancati sulla rotta bosniaca circa 25-30 mila profughi rispetto lo scorso anno, perché in ottobre si è aperta la rotta Bielorussa facilitata dal passaggio aereo da Istanbul». Dai loro dati, risulta che la maggioranza sia riuscita a passare in Polonia: ciò spiegherebbe perché i campi in Bosnia in questo momento siano meno pieni. «Tuttavia – ha poi continuato - in Turchia sono fermi circa 300 mila profughi, per lo più afghani, pronti a fine Ramadan a partire verso l’Europa. Non si sa quale delle varie rotte balcaniche sarà da loro percorsa, ma vista la guerra in Ucraina, ci aspettiamo che tornino numerosi anche sul tratto bosniaco».

Ai referenti migrazione della Caritas bosniaca sono stati presentati i progetti della safehouse e quelli di accoglienza diffusa della provincia Bergamasca, con l’obiettivo di preparare il terreno perché vengano replicati in altre città. Il Coordinamento Enti Locali per la Pace ha voluto illustrare la loro fattibilità, con una proposta che vada oltre l'aiuto immediato con offerta di cibo, scarpe e vestiti: in sintesi, un’altra possibilità di accoglienza.

Grazie al contributo del Comitato Bergamo-Kakanj, i delegati orobici hanno fatto una serie di interessanti incontri: ad esempio con Roberta, un'attrice che ha scritto spettacoli teatrali contro la guerra e ha allestito una mostra su Sarajevo; oppure con Nicole, giornalista dell’Osservatorio balcanico, che ha raccontato del fronte orientale, ancora oggi tallone d'Achille dell'Italia. Nel corso del viaggio hanno fatto la conoscenza anche di Mario Boccia, famoso fotoreporter di guerra, le cui foto sono state scelte per una mostra permanente da allestire al museo di storia di Sarajevo ed Edina, Marcela e Bojano, tre donne che hanno collaborato con la delegazione bergamasca impegnata nella ricostruzione di Kakanj dopo la guerra. «È stata un’esperienza piena di suggestioni e spunti di riflessione, fondamentali per mantenere alta l'attenzione e la sensibilità di quanto avviene lungo la rotta balcanica» hanno concluso dal Coordinamento.

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